Due importanti eventi per Carlo Bavagnoli a Parma


In occasione della grande mostra “Parma e il Mondo nelle fotografie di Carlo Bavagnoli” a Parma, Palazzo Bossi Bocchi (1° aprile – 28 maggio 2017), due importanti conferenze.

Giovedì 27 aprile “Con gli occhi del fotografo: Carlo Bavagnoli e il racconto umano”, a cura di Antonella Ramazzotti – Fin dagli esordi della sua carriera, Carlo Bavagnoli, unico fotografo italiano assunto da Life, ha espresso il proprio interesse nei confronti di una fotografia e di un fotogiornalismo che fossero fortemente documentari, rivelandosi da subito il fotografo del racconto umano.

Osservando i negativi e i provini donati dallo stesso fotografo alla Fondazione Cariparma nel 2000, l’attitudine di Bavagnoli per la sequenza narrativa si rivela ancora più forte e significativa, tanto da indicargli ogni volta la strada da intraprendere nella ricerca dello scatto e nell’affrontare gli assignements di Life.

I provini e i negativi danno la possibilità di rivivere e ripercorrere con gli occhi del fotografo una ricerca ed un processo creativo-meditativo che inizia con l’assegnazione di un argomento e termina con la scelta delle immagini più significative, da pubblicare nelle pagine di una delle più importanti riviste del XX secolo, per raccontare la Storia.

Martedì 2 maggio “Carlo Bavagnoli, il fotogiornalismo italiano fra gli anni del dopoguerra e il boom economico e l’esperienza di Life” di Uliano Lucas – L’intervento si concentra sulla rinascita di una stampa democratica dopo la dittatura fascista e sull’importanza in essa rivestita dalla fotografia. Ragiona sulla popolarità del rotocalco, sull’organizzazione del sistema dell’informazione fra il dopoguerra e il boom economico, sul formarsi di nuove agenzie fotografiche e nuovi professionisti e soprattutto di una nuova generazione di autori che, nel clima delle libertà ritrovate, scoprono nella fotografia uno strumento di racconto e di indagine sociale. In questo contesto analizza la figura di Carlo Bavagnoli e la sua produzione fotografica, riflettendo sulle peculiarità del suo stile e della sua visione della fotografia. Ripercorre il periodo degli inizi al bar Jamaica, insieme a Mario Dondero e Ugo Mulas, con i primi reportage su Cinema nuovo, Settimo giorno e L’Illustrazione italiana, e poi gli anni romani, con le frequentazioni dei fotografi della Realfoto e del gruppo de L’Espresso, la collaborazione a Epoca e il lungo reportage su Trastevere, fino ai viaggi negli Stati Uniti e all’assunzione a Life, che gli apre nuove possibilità di racconto e di sperimentazione anche sul piano delle tecniche fotografiche.

Nato a Milano nel 1942 da una famiglia operaia, Uliano Lucas cresce nel clima di ricostruzione civile e intellettuale che anima il capoluogo lombardo nel dopoguerra. Ancora sedicenne, frequenta l’ambiente di artisti, fotografi e giornalisti che vivevano allora nel quartiere di Brera. E qui, durante le interminabili discussioni ai bar Genis e Giamaica con grafici, disegnatori, intellettuali e artigiani della vecchia Milano, ma anche con i fotografi Ugo Mulas, Mario Dondero, Alfa Castaldi, e Carlo Bavagnoli, decide di tentare la via del fotogiornalismo, ravvisandovi, uno strumento di impegno civile e insieme una professione indipendente, libera dalle costrizioni, viatico per quella scoperta di mondi diversi che infatti caratterizza poi tutta la sua esistenza.

Comincia raccontando le atmosfere della sua città, la vita e i volti degli scrittori e pittori suoi amici, ma anche i nuovi fermenti nella musica e nello spettacolo. Poi arriva il coinvolgimento nelle riflessioni politiche scaturite dal movimento antiautoritario del ’68 e l’impegno in una lunga campagna di documentazione sulle realtà e le contraddizioni del proprio tempo: l’immigrazione in Italia e all’estero, la distruzione del territorio legata all’industrializzazione, le proteste di piazza degli anni ’68-’75, il movimento dei capitani in Portogallo e le guerre di liberazione in Angola, Eritrea, Guinea Bissau, seguite per riviste come Tempo, Vie nuove, Jeune Afrique e Koncret o per iniziative editoriali diventate poi un punto di riferimento per la riflessione terzomondista di quegli anni.
Negli anni ’60 e ’70 collabora con testate come Il Mondo, Tempo, L’Espresso, L’Europeo, Vie nuove, La Stampa, Il manifesto, Il Giorno, o ancora con Tempi moderni, Abitare, Se – Scienza e Esperienza e con tanti giornali del sindacato e della sinistra extraparlamentare. A servizi sull’attualità e sul mondo dell’arte e della cultura, alterna reportage, che spesso sfociano in libri, su temi che segue lungo i decenni: dalle trasformazioni del mondo del lavoro, alla questione psichiatrica. Racconta le nuove forme d’impegno del volontariato degli anni ’80 e ’90, le iniziative del Ciai (Centro italiano per l’adozione internazionale) in India e in Corea e le realtà della cooperazione in Africa. Durante la guerra jugoslava vive e restituisce in immagini le tragiche condizioni di esistenza della popolazione sotto assedio.

Nei primi anni ’90 collabora intensamente con la rivista King, con il Corriere della Sera e il suo supplemento Sette ed è coinvolto nelle inchieste sulla Grande Milano di Repubblica. Su questa testata pubblica diversi reportage sulle architetture e gli spazi di Milano e del suo infinito hinterland che si inseriscono in un lavoro mai interrotto sul cambiamento del territorio come specchio delle trasformazioni nell’economia e nel tessuto socio-culturale italiani.

La chiusura, fra gli anni ’80 e i ’90, della maggior parte dei giornali con cui collabora e i cambiamenti nel sistema dell’informazione e della produzione e distribuzione della notizia, lo portano a diradare nell’ultimo quindicennio le corrispondenze giornalistiche per dedicarsi a inchieste di ampio respiro condotte insieme a giornalisti, sociologici e storici. Ne sono un esempio il racconto dei primi anni ’90 sui centri di recupero per tossicodipendenti a Torino, la documentazione degli stessi anni sulla difficile riconversione industriale nel ponente genovese, o il reportage sulle carceri di San Vittore e Bollate, realizzato per la Triennale di Milano. Degli ultimi anni sono anche il libro Scritto sull’acqua, in cui le sue immagini sulle popolazioni borana dell’Etiopia meridionale, dialogano con il racconto letterario di Annalisa Vandelli, e la lunga indagine sul territorio di Bari e sulla devozione a Padre Pio, in cui Lucas rinnova, con uno stile che riflette i cambiamenti del tempo, l’impegno di conoscenza e analisi e la capacità narrativa ed evocativa che lo hanno da sempre contraddistinto.

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