Intervista a Fabio Biale per il nuovo album “La gravità senza peso”


“La gravità senza peso” è il secondo album di Fabio Biale. Il cantautore ligure, violinista polistrumentista di Zibba e Almalibre, dopo aver ottenuto celebri riconoscimenti dalla critica musicale come la Targa Tenco ed il Premio Bindi, presenta al pubblico radiofonico il singolo “Si però non eri qui”, una frizzante canzone adagiata sull’inusuale connubio dei due strumenti protagonisti: ukulele e violoncello.

Abbiamo fatto una chiacchierata con Fabio Biale. Ecco cosa ci ha raccontato.

Ciao Fabio e benvenuto sulle pagine di Radio Web Italia! Oggi sei nostro ospite per parlarci del nuovo singolo “Si però non eri qui”. Raccontaci come è nata questa frizzante canzone adagiata sull’inusuale connubio dei due strumenti protagonisti: ukulele e violoncello.
Era una notte d’estate ed ero a casa da solo. Mia moglie e mio figlio erano rimasti in vacanza e la mia era appena finita per ripartire con i concerti. L’idea era quella di approfittare della serata per uscire un po’, vedere gli amici, “vivere i vent’anni che ora non ho più” ma vengono le nove, le dieci, mezzanotte… e la voglia di uscire proprio non arriva. Anzi mi coglie una malinconia tremenda che mi impedisce di chiudere occhio. Alle cinque, stremato dall’insonnia, mi alzo, prendo l’ukulele e alle sette la canzone è bell’e fatta. Inizialmente pensavo sarebbe stata una semplice filastrocca musicale ma è un brano così sincero ed intenso nella sua pur estrema semplicità che s’è subito guadagnato il rango di canzone e le mostrine di primo singolo.

Per quanto riguarda l’arrangiamento, l’ukulele è stato una scelta quasi casuale, quella notte era lì e mi convinceva. Bisognava trovargli un partner che non fosse scontato, così mi sforzo di pensare ad uno strumento che fosse un opposto credibile. Ukulele: suono acuto, piccolo, semplice, quasi un giocattolo. Violoncello: suono grave, grande, raffinato, di tradizione classica.

Perfetti: Stanlio e Ollio!

Come è nata la tua passione per il violino?
Avrò avuto quattro anni che già fingevo su una chitarrina di sviolinare usando come archetto un bastone appendiabiti. A sei ho incontrato un harmonium a casa di uno zio e ho iniziato ad implorare i miei genitori di farmi studiare uno strumento. Alla scuola di musica mi hanno proposto il violino e il cerchio si è chiuso. Nel frattempo ascoltavo musica in continuazione e di ogni tipo, il rock inglese, i cantautori, la lirica, la classica. La malattia era già conclamata.

“La gravità senza peso” è il tuo secondo album. Che atmosfera si respira in questo nuovo lavoro discografico?
Di leggerezza. Racconto storie la cui gravità ne insegue il segreto: ci sono eroi, innamorati, assassini, mendicanti; i disillusi e gli indomabili.

Sono tutti racconti che hanno un legame autobiografico diretto. Fatti accaduti, visioni, deduzioni. In una canzone dico: “Quando il tono è piuttosto sincero/e ti mostra per quello che sei/e il racconto non è tutto vero/ma tu sei quello lì e lei è lei.” La filosofia è questa.

La gravità senza peso: perchè hai scelto questo titolo?
La gravità senza peso è un regalo di Italo Calvino. Nelle Lezioni americane si proponeva di trovare alcuni valori per la letteratura del millennio successivo, questo millennio. La leggerezza è il primo di essi. Calvino, ad un certo punto, scrive che dal sangue della Medusa, che trasformava chiunque la osservasse in pietra, era nato il cavallo alato Pegaso. La pesantezza si rovescia nel suo contrario. Una leggerezza pensosa che prende parte all’amara commedia della vita e che sola la può alleviare. Una leggerezza che non è frivola perché è, appunto, gravità senza peso.

Qual è la tua canzone preferita dell’album?
I figli so’ piezz’ e core. Se parlo troppo bene di uno poi gli altri piangono. Però penso che “Marzo” sia il brano col testo migliore.

Il nuovo disco, cosa ha di diverso rispetto al primo album “La sostenibile essenza della leggera”?
“La sostenibile essenza della leggera” era una sorta di raccolta, benché fosse il disco d’esordio. Conteneva vent’anni di canzoni e voleva chiudere in maniera un po’ inconsapevole un percorso personale lungo e complesso. La creazione e la costruzione dell’album è stata abbastanza libera; molte parti sono nate in studio, quasi improvvisando.

“La gravità senza peso” invece è stato un album “scientifico”. Ogni nota che è stata suonata era già scritta su carta. Ho composto ed arrangiato ogni canzone, nota per nota, pausa per pausa, suono per suono, strumento per strumento. Parti scritte, zero prove. Un lavoro più da compositore che da cantautore. E’ un disco nato in mezzo alle mie orecchie.

La grande fortuna è stata trovare dei meravigliosi musicisti che hanno saputo interpretare le note scritte, che dopotutto sono solo macchie su un foglio, e le hanno fatte ritornare sentimenti.
Per le parole il discorso è molto diverso. E’ fortissima un’estrema continuità tra i due lavori. Ho in testa una sorta di trilogia della leggerezza e questo è il secondo capitolo. Sono gli stessi eroi della “Sostenibile essenza”, forse solo un pochino cresciuti d’età. O raccontati da un occhio con qualche ruga in più intorno.

Quali saranno i tuoi prossimi impegni?
Suonare suonare suonare. Pian piano si sta definendo il Senza Peso Tour che è già partito da Savona l’11 marzo e toccherà nei prossimi mesi buona parte dell’Italia. Poi i miei progetti collaterali, i Birkin tree, con cui suono musica tradizionale irlandese, e i Liguriani.

Un paio di videoclip. E ancora collaborazioni, tra le quali Margherita Zanin ed Emanuele Dabbono col quale entrerò in studio per il nuovo album in maggio.

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