Napoli Napoli, di lava di porcellana e musica


Dal 21 settembre 2019 al 21 giugno 2020

Napoli Napoli, di lava di porcellana e musica

Mostra a cura del Museo Real Bosco di Capodimonte e del Teatro di San Carlo

Apre il 21 settembre 2019 al Museo e Real Bosco di Capodimonte, la mostra Napoli Napoli. Di lava, porcellana e musica, a cura di Sylvain Bellenger (21 settembre 2019 – 21 giugno 2020),

promossa dal Museo e Real Bosco di Capodimonte, con il Teatro di San Carlo di Napoli, in collaborazione con Amici di Capodimonte onlus e la produzione e organizzazione della casa editrice Electa.

Le 19 sale dell’Appartamento Reale, riproposte in una spettacolare e coinvolgente scenografia, ideata dall’artista Hubert le Gall1 come la regia di un’opera musicale, saranno il palcoscenico d’eccezione sul quale andranno in scena il Teatro di San Carlo, con la sua sartoria oggi diretta da Giusi Giustino2 e le porcellane di Capodimonte.

Vero filo conduttore della mostra: la musica che si ascolterà grazie all’uso di cuffie dinamiche – non semplici audioguide – che si attivano passando di sala in sala.

L’allestimento racconterà la storia di Napoli capitale del Regno nel corso del Settecento e oltre, dagli anni di Carlo di Borbone a quelli di Ferdinando II, come una favola, con il susseguirsi di scene della vita quotidiana caratterizzate da estrema raffinatezza estetica e gioia esistenziale ma che hanno come sottofondo il passaggio del potere, i cambiamenti della storia, delle mode e dei gusti estetici.

Il visitatore potrà immergersi in un mondo incantato e, grazie all’uso delle cuffie dinamiche, potrà ascoltare le musiche (da Giovanni Pergolesi a Domenico Cimarosa, da Giovanni Pacini a Giovanni Paisiello, da Leonardo Leo a Niccolò Jommelli) selezionate da Elsa Evangelista con un commento critico musicale di Alessandro De Simone per i vari temi artistici di ciascuna sala.

La mostra è una sintesi di tutte le arti, e illustra la pluridisciplinarità tipica della nostra contemporaneità: un viaggio multisensoriale all’interno della Reggia borbonica, trasformata per l’occasione in un vero e proprio spettacolo teatrale. Un’esposizione con oltre 1000 oggetti, oltre 300 porcellane delle collezioni delle Reali Fabbriche di Capodimonte e Napoli, di altre manifatture europee e pezzi originali cinesi, più di 150 costumi del Teatro

di San Carlo con firme prestigiose (Ungaro, Odette Nicoletti, Giusi Giustino e altri), strumenti musicali del Conservatorio

di San Pietro a Majella di Napoli, dipinti, oggetti d’arte e di arredo, minerali e animali tassidermizzati oggi conservati rispettivamente nel Museo Mineralogico e nel Museo Zoologico di Napoli (oggi confluiti nel Centro Musei delle Scienze Naturali e Fisiche dell’Università Federico II di Napoli).

Il percorso di mostra Atrio

Il percorso di mostra si apre con la spettacolare riproduzione di una tazza gigante, liberamente ispirata alle porcellane della manifattura di Capodimonte. Al suo interno, svetta la figura di Maria Carolina d’Asburgo Lorena: moglie di Ferdinando IV di Borbone e Regina di

Napoli e di Sicilia. Maria Carolina contribuì attivamente, spinta da ideali illuministi, a fare di Napoli un centro culturale e artistico.

Alle pareti, il trompe-l’œil dell’artista Tommaso Ottieri3, un’immagine che riproduce l’interno del Teatro di San Carlo e che invita il visitatore ad “entrare in scena”.

Sala della Musica Sacra

Le note dello Stabat Mater di Giovan Battista Pergolesi, commovente pianto di una madre per il figlio morto, composto per la Pasqua del 1736, si sposano con i preziosi manufatti sacri esposti, come il grande Ciborio seicentesco della chiesa di Santa Patrizia, il Corredo d’altare in porcellana bianca, destinato all’oratorio segreto del re nel Palazzo reale di Portici,

e l’Immacolata Concezione, raro esemplare a soggetto religioso della manifattura. Questi ultimi sono entrambi provenienti dalla Real Fabbrica di Capodimonte.

Incorniciano la scena, i costumi di Odette Nicoletti4 realizzati per lo Stabat Mater eseguito in occasione della Commemorazione di Giovan Battista Pergolesi nel 250° anniversario della morte (Stagione Lirica 1985-1986) con regia del M° Roberto De Simone.

Sala della Musica Profana

Un omaggio a Napoli capitale della musica: gli strumenti musicali provenienti dal Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli (pianoforti di Paisiello e di Cimarosa e l’arpetta Stradivari) sono messi a confronto con un dipinto di Gaspare Traversi e un quadro

di Louis Nicolas Lemasle raffigurante le Nozze della principessa Maria Carolina di Borbone con il duca di Berry, del 1816, in cui si riconoscono Giovanni Paisiello e Niccolò Paganini.

Il tema musicale è variamente interpretato dalle manifatture di porcellana napoletana ed europea: si fondono così i due elementi più alla moda e caratterizzanti del secolo.

Accompagna la visita Il Flaminio di Pergolesi: il nuovo genere della commedia in musica che si contrappone all’opera seria e si rivolge a tutti i ceti sociali. In sala i costumi di Odette Nicoletti da Il Flaminio con regia del M° Roberto De Simone, realizzati per la Stagione Lirica 1982-1983,

e quelli andati scena per Il convitato di Pietra (regia del M° De Simone, Stagione Lirica 1994-1995).

Sala del Potere
Nel 1815, in seguito alla sconfitta di Napoleone, la Restaurazione ristabilisce il potere dei sovrani assoluti in Europa. A Napoli, dopo la fucilazione di Gioacchino Murat, salito al trono nel 1808, ritorna dall’esilio in Sicilia il re Borbone, con il nome di Ferdinando I

delle Due Sicilie, immortalato in questa sala come in un’istantanea nel tentativo di coprire il ritratto dell’imperatore Napoleone con
la bandiera borbonica.

L’Inno al Re che accompagna la visita, scritto dal barone Pietro Pisani durante l’esilio di Ferdinando in Sicilia nel 1799, diviene nel 1815 l’inno ufficiale della Restaurazione borbonica, così celebre da essere impropriamente considerato di Giovanni Paisiello.

I costumi, di Odette Nicoletti, provengono da Festa Teatrale, che inaugurò la Stagione Lirica 1987-1988, e da L’Osteria di Marechiaro, andato in scena al Teatro Bellini di Napoli per la Stagione Concerti 2001-2002.

Sala del Grand Tour
Ampio spazio è riservato nel Salone Camuccini al tema del Grand Tour nato dalle epocali scoperte di Ercolano nel 1738 e di Pompei nel 1748. Gli scavi furono il più grande evento culturale del secolo e furono utilizzati dai Borbone, che ne controllavano gli accessi, come un vero e proprio strumento di propaganda e grande attrazione del Regno delle Due Sicilie. Il Grand Tour divenne la meta imprescindibile per gli aristocratici e gli intellettuali di tutta Europa per completare la propria formazione sociale

e intellettuale. Il tema è proposto in maniera originale da Hubert Le Gall con sculture di Righetti, biscuit di Tagliolini, bronzetti della fonderia Chiurazzi, terraglie e porcellane Del Vecchio e Giustiniani, vasi archeologici della collezione De Ciccio, e manichini che indossano i costumi di Emanuel Ungaro realizzati per La Clemenza di Tito di Mozart (Inaugurazione della Stagione Lirica 2010) e di Odette Nicoletti andati in scena per Festa Teatrale (Inaugurazione della Stagione Lirica 1987-1988) e per L’Osteria di Marechiaro di Giovanni Paisiello. In cuffia il Demofoonte di Niccolò Jommelli, che impressionò fortemente il giovane Mozart quando, nel 1770, si recò a Napoli e rimase affascinato dal clima culturale e musicale della città.

“L’episodio più interessante del mio viaggio è stata la visita a Pompei.

Qui ci si sente davvero trasportati nell’antichità” scriveva Stendhal nel 1817. A sottolineare il ruolo di Napoli capitale è Charles de Brosses intorno al 1740: “A mio parere Napoli è l’unica città d’Europa ad

avere davvero l’atmosfera di una capitale: il movimento, l’affluenza di persone, la grande quantità di servitori e il frastuono che ne consegue; una corte bene organizzata e decisamente brillante, il seguito e lo sfarzo dei gran signori: tutto contribuisce a darle quell’aspetto vivace e animato che hanno Parigi e Londra. Il basso popolo è turbolento, la borghesia frivola, l’alta nobiltà fastosa…”. E, qualche anno dopo, nel 1787 Goethe affermava: “Se mi propongo di scrivere parole, sono

sempre immagini quelle che sorgono ai miei occhi: della terra feconda, del mare immenso, delle isole vaporose, del vulcano fumante; e per rappresentare tutto ciò mi mancano gli strumenti adatti”.

Sala dell’Egittomania

A Napoli l’interesse per l’Egitto trova forte stimolo a seguito del ritrovamento, tra il 1764 e il 1766, del Tempio di Iside a Pompei, uno dei più completi edifici cultuali dell’Impero romano. Questo primo diffondersi dell’interesse verso l’arte egizia diviene una vera

e propria moda in tutta Europa con le campagne di Bonaparte in Egitto: piramidi, obelischi, divinità e faraoni diventano elementi decorativi ricorrenti nella porcellana e negli arredi in generale. Gli oggetti esposti in questa sala ben rappresentano tale gusto: i due orologi di Capodimonte con le monumentali casse impreziosite da marmi rari, bronzi cesellati, porcellane e i biscuit parzialmente dorati

con i telamoni raffiguranti Antinoo–Osiride, il dio egizio. La stessa figura ritorna, nell’insolita funzione di manico del coperchio, nei vasi da gelo del celebre Servizio da tavola con le Vedute del Regno, capolavoro della Real Fabbrica di Napoli. L’Egittomania coinvolse anche la musica napoletana: alla corte di Caterina II di Russia, Domenico Cimarosa mette in musica, nel 1789, il libretto di Ferdinando Moretti intitolato Cleopatra, le cui note accompagnano la visita. I manichini vestono costumi di Odette Nicoletti tratti da Le Convenienze ed inconvenienze teatrali, andato in scena al Teatro di San Carlo, con regia del

M° Roberto De Simone, per la Stagione Lirica 1996-1997.

Sala delle Chinoiseries

Nell’Europa rococò del XVIII secolo, il crescente interesse per i mondi esotici dà vita ad una smania collezionistica per le chinoiseries, ovvero tutto ciò che richiama il gusto orientale.

A Napoli, fondamentale porto mercantile, tale gusto si diffonde ampiamente: ne è una dimostrazione, il meraviglioso boudoir donato, nel 1759, dal re Carlo alla consorte Maria Amalia di Sassonia,

cresciuta nel Palazzo Giapponese di Dresda dove il nonno Augusto II aveva raccolto la più grande collezione di porcellane d’Europa.

Completamente ricoperto da una decorazione plastica in porcellana, montata originariamente nella Reggia di Portici e poi trasferita a Capodimonte nel 1865, il salottino è l’opera che, meglio di ogni altra, rappresenta l’alto grado di perfezione tecnica e stilistica raggiunto dalla Manifattura di Capodimonte. La moda delle chinoiseries influenza anche il teatro e la musica come testimonia L’idolo cinese di Giovanni Paisiello (in cuffia), i cui personaggi, che invadono il salottino, indossano i fantasiosi costumi disegnati da Luca Crippa (andati in scena per l’Autunno 1955 al Teatro di Corte di Palazzo Reale di Napoli) e Emanuele Luzzati (realizzati per la Stagione Lirica 1992-1993 del Teatro di Corte di Palazzo Reale di Napoli).

Sala della Materia

In esposizione minerali provenienti dal Real Museo Mineralogico – inaugurato nel 1801 che oggi raccoglie oltre 30.000 reperti – e dal Museo Zoologico nato nel 1813 (entrambi sono attualmente confluiti nel Centro Musei delle Scienze Naturali e Fisiche dell’Università Federico

I di Napoli, in via Mezzocannone 8). Un omaggio alla nascita degli studi di mineralogia e vulcanologia di inizio XIX secolo che incantarono l’ambasciatore di Inghilterra e pioniere della vulcanologia moderna, lord William Hamilton. Le manifatture esposte esprimono una moderna sensibilità estetica verso la materia naturale, vero e proprio elemento d’ispirazione per la porcellana, che induce gli artisti a particolari sperimentazioni tecniche in una sorta di sfida imitativa con i materiali naturali, soprattutto di origine vulcanica e marina.

Tra i reperti in esposizione una medaglia coniata nella lava del 1819 e raffigurante Ferdinando, re del Regno delle due Sicilie. Si ascolta in cuffia la Sonata in fa minore K 466 di Domenico Scarlatti.

Sala della Natura

Particolarmente interessante e curiosa la sala dedicata agli animali, presenti in esemplari tassidermizzati provenienti dal Museo Zoologico dell’Università Federico II di Napoli.

Assieme alle manifatture esposte, essi esprimono lo spirito scientifico tardo settecentesco dei primi musei modernamente intesi e l’importanza della catalogazione come primo strumento di conoscenza. Il soggetto degli animali e, soprattutto, quello degli uccelli,

trova largo spazio nella decorazione delle porcellane europee e napoletane qui presentate a diretto contatto con i modelli. I reperti ornitologici del Museo Zoologico, risalenti al XIX e XX secolo e raccolti in differenti località geografiche, provengono da importanti collezioni storiche tra cui quella

di Mario Schettino, amico di Francesco Saverio Monticelli e valente

tassidermista, realizzata tra il 1901 e il 1937 e poi donata al Museo, e quella di Cecilia Picchi, ornitologa fiorentina attiva a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.

Tra gli esemplari, sono da segnalare le specie provenienti dal Real Bosco di Capodimonte, il cui canto, in una registrazione

realizzata all’alba in occasione della mostra, accompagna la visita: lo sparviere, il falco cuculo, il gufo reale, il lodolaio, molti dei quali a rischio estinzione, e la volpe, ancora oggi abitualmente avvistata nel sito reale. Molti di questi uccelli sono esposti in una grande voliera al centro della sala accanto ai piatti sui quali sono raffigurati con estremo rigore scientifico ma per ragioni decorative, con colori più vivaci.

In questo i principali serviti di porcellana e terraglia delle Manifatture di Napoli competevano, per maestria, con quelle di Vienna e di Sèvres.

Si comprende, così, che un servito da tavola diviene anche un catalogo naturalistico della fauna del Regno, come nel servito di Carditello, storica fattoria e tenuta di caccia reale, finemente decorato con uccelli del Bosco.

Sala dell’Eruzione

Protagonista il Vesuvio, narrato in pittura nelle sue più importanti eruzioni e testimoniato dai reperti minerari esposti, provenienti

dal Real Museo Mineralogico: vesuvianite, granato, leucite, lazurite, ematite e altri. Nel corso del Settecento le eruzioni si susseguono

e il Vulcano dà spettacolo ispirando artisti come Hackert, pittore ufficiale di Ferdinando IV dal 1791 e, soprattutto, il francese Jacques Volaire che, stabilitosi definitivamente a Napoli nel 1769, si specializzò nella rappresentazione notturna del Vesuvio in eruzione.

Le porcellane, quasi in rivalità con la natura, da una parte imitano la materia mineraria, dall’altra illustrano il sublime del Vesuvio.
Nel surtout de table con Il carro del Sole, in particolare, realizzato dalla Real Fabbrica di Napoli ma completato dalla Manifattura Poulard Prad, il bianco opaco e puro del biscuit trova particolare esaltazione nel contrasto con le nere pietre laviche dell’allestimento.

Nella sala nera e rossa l’evocazione del sublime è esaltata dalla musica

di Giovanni Pacini dedicata a L’ultimo giorno di Pompei, quell’impressionante calamità che indusse Goethe ad annotare sul suo diario: “Molte sciagure sono accadute nel mondo, ma poche hanno procurato altrettanta gioia

alla posterità”.

Sala dei Pulcinella

Pulcinella, sovversivo personaggio, antica maschera napoletana, assai in voga nella Commedia dell’Arte settecentesca, comico e tragico, ingenuo eppure scaltro, approfittatore e generoso, servo del padrone

e, allo stesso tempo, sbeffeggiatore del potere domina il Salone delle Feste. Pulcinella, con il suo ermafroditismo, sovverte la rigida e tradizionale organizzazione sociale e sessuale e, autofecondandosi, partorisce altri Pulcinella: il trionfo ironico della vita. Pulcinella muore sulla scena – come si vede nella pellicola in proiezione “Carosello napoletano” del 1958 – e passa la maschera, come succede per la Corona reale. Ma Pulcinella, proprio come il re, non può morire.

Morto il re, viva il re. Morto Pulcinella, viva Pulcinella.

Si ascolta in cuffia la “Gioia de st’arma mia, cara nennella” tratto dal Pulcinella Vendicato di Giovanni Paisiello.

Tra i costumi presenti in sala quelli realizzati per Pulcinella di Igor Stravinskij (Stagione Lirica 1987-1988) ispirati a studi di Pablo Picasso e storicamente ricostruiti da Giovanna De Palma; quelli creati da Giusi Giustino per Le nozze di Figaro di Mozart in occasione della Tournée del Teatro di San Carlo a Dubai del 2017; quelli di Odette Nicoletti realizzati per Il divertimento de’ numi di Giovanni Paisiello per la Stagione Concerti 1996-1997, con regia del M° Roberto De Simone, e,

sempre per la medesima stagione, per Te voglio bene assaje di Gaetano Donizetti e autori vari in occasione della commemorazione

del bicentenario della nascita del compositore.

Sala della Caduta dei Giganti

La sala deve il suo nome al monumentale centro tavola in biscuit commissionato da Ferdinando IV. In questo caso, il soggetto mitologico raffigurato – la Caduta dei Giganti – riferibile al diffuso gusto per l’antico, trova una particolare declinazione politica. Nel 1799 infatti nasce e muore la Repubblica Partenopea, conclusasi tragicamente con

un vero e proprio bagno di sangue voluto soprattutto da Maria Carolina.

Quest’ultima, a seguito di questo avvenimento, divenne bersaglio

di invettive e parodie, come recita il canto La serpe a Carolina, che si ascolta in cuffia.

La regina è immortalata mentre osserva la scena, nel costume realizzato da Odette Nicoletti per Festa teatrale, ‘pastiche’ musicale ideato dal M° Roberto De Simone per le celebrazioni

del 250° anniversario del Teatro di San Carlo. In sala, anche i costumi creati sempre dalla Nicoletti per Il divertimento de’ numi di Giovanni Paisiello, in occasione della Stagione Lirica 1996-1997. Nei due dipinti, Angelica Kauffmann, pittrice di corte, ritrae, nell’ultimo quarto del Settecento, la Famiglia del re Ferdinando e Maria Carolina, con la numerosa prole, mentre Giuseppe Cammarano, circa quaranta anni dopo, immortala la Famiglia di Francesco I.

Sala del Gioco d’azzardo e del destino

Il gioco è una delle tante tradizioni di Napoli, affascinata dall’azzardo e dal fato: in città ci si dedica a questi divertimenti nei salotti aristocratici e nei bassifondi, nei circoli e nei caffè, nelle case delle più raffinate cortigiane e nelle osterie, e dovunque risuonano espressioni tipiche della musica napoletana, come la villanella Vurria ca fosse ciaula (Vorrei essere un uccello) il cui testo, onirico e surreale, accompagna la visita.

Se il popolo spende il suo denaro al gioco del lotto, negli ambienti nobili si dilapidano patrimoni con scacchi e dame, carte, tris, roulettes e tric-trac, giochi particolarmente amati come testimoniano i tavoli

e le scatole da gioco di squisita fattura. I manichini in sala indossano costumi realizzati da Giusi Giustino per Le nozze di Figaro di Mozart in occasione della tournée del Teatro di San Carlo a Dubai nel 2017

e quelli di Odette Nicoletti prodotti per Festa Teatrale, andato in scena per l’Inaugurazione della Stagione Lirica 1987-1988 con regia

del M° Roberto De Simone.

Galleria del Servizio dell’Oca

Nella selezione di porcellane napoletane ed europee esposte in questa galleria spicca il Servizio dell’Oca, così detto dalle figure di alcuni pomelli di zuppiere raffiguranti un bambino che strozza l’oca, derivato da un’antica scultura in marmo dei Musei Capitolini. Il servizio è il capolavoro della Real Fabbrica della porcellana di Napoli, fondata dal re Ferdinando IV nel 1771. Il tema dominante della decorazione è rappresentato da vedute derivate in gran parte da incisioni che illustrano il Regno dall’Abruzzo alla Sicilia. Si ascolta in cuffia “Saper Bramante” da Il Barbiere di Siviglia di Giovanni Paisiello.

Sala “Miseria e nobiltà”

Il titolo della sala, tratta dall’opera teatrale di Eduardo Scarpetta del 1888, sottolinea il complesso rapporto che si stabilisce a Napoli tra classi sociali diverse e più in generale il sentimento di vivere della corte e della plebe rumorosa, dei lazzari che non rinunciano ad adornarsi

e a sedurre. Ne traccia un quadro straordinario l’opera di Paisiello L’Osteria di Marechiaro del 1769 che narra dell’amore del conte di Zampano per Chiarella, le cui note accompagnano la visita.

La rivisitazione del M° Roberto De Simone si è avvalsa, nella messa in scena per il Teatro di San Carlo nel 2001, dei costumi di Odette Nicoletti, veri protagonisti di questa sala: la scelta di materiali

pregiati e contemporanei utilizzati sia per i ricchi che per i più umili con lavorazioni differenti che ne esaltano il potenziale estetico,

sembra sottolineare quell’inestricabile rapporto della maglia sociale e conferisce dignità anche agli stracci dei personaggi più poveri

che non si sottraggono al complesso gioco della seduzione e, anzi, vestono tra i più lussuosi costumi della collezione del Teatro di San Carlo.

Sala della Parrucca

Tra le corti d’Europa si diffonde il vezzo della moda: una passione per parrucche, orologi, tabacchiere, bastoni e ventagli.

La moda della parrucca, in particolare, introdotta in Francia nel Seicento da Luigi XIII, diventa, con il passare degli anni, sempre più eccentrica: le complesse acconciature rendono prestigioso il lavoro del parrucchiere che realizza vere e proprie “costruzioni” di capelli, toupet e ornamenti vari costringendo le dame a trovare, nella veglia e nel sonno, posizioni congeniali a non rovinarle.

La futilità delle apparenze, in netto contrasto con la profondità del pensiero illuminista, costituisce il grande fascino di questo momento vissuto dalle corti e dai ceti aristocratici come le battute finali

di un’epoca destinata a spegnersi con la Rivoluzione francese e la definitiva caduta dell’Ancien Régime.

Si ascolta in cuffia La serva padrona di Giovan Battista Pergolesi.

In sala, costumi di Odette Nicoletti realizzati per Festa Teatrale, andato in scena nel 1987 in occasione della celebrazione del 250° anniversario del Teatro di San Carlo; tra questi spicca quello realizzato per la figura della regina Maria Carolina, interpretata da Katia Ricciarelli.

Sala della Culla

Chiude la mostra una videoinstallazione dell’artista Stefano Gargiulo

/ Kaos Produzioni5 in cui le immagini della Napoli di ieri e di oggi si fondono con le scene delle principali operetratte dall’archivio storico del Teatro di San Carlo (molte delle quali sotto la direzione artistica del M° De Simone) e con quelle di Capodimonte, reggia e museo, sintesi di quella Napoli del Settecento ancora capitale delle arti.


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