C’è un altare della parola – di fronte al quale si inginocchia lo scrittore-poeta – che fa genuflettere persino la Legge quando snobba la politica. Legge nel senso di Giustizia.
Perché la Musica del verbo ammalia persino orecchi sordi a qualunque lamento o grido di dolore.
Addirittura occhi secchi di lacrime compassionevoli.
E allora succede che a un sempreverde autore senza età del gotha letterario italiano, fondatore della storica casa editrice PellicanoLibri, conosciuto in tutto il mondo, venga riconosciuta (era ora, aggiungiamo) la Legge Bacchelli.
Accade che la richiesta urlante, declamata e intonata a gran voce dal cuore e tradotta dal sussurro dell’ inchiostro istituzionale arrivi, dopo anni di marcia, dalle università sparse per il pianeta, da amici e colleghi di penna.
Accade, ancora, che pagine e pagine di istanze siano vergate, in un silenzio chiassoso di inviti, proposte, richieste, buste postali con francobolli intraducibili, mail che intasano server e poste elettroniche.
E’ così che Beppe Costa, portato in trionfo da una petizione che attraversa gli oceani, oltrepassi il varco nel tempio dei grandi artisti, assurgendo, ancora in vita, a una sorta di Nobel dell’immortalità.
Definitivamente punteggiato, nel ritratto della grande Storia, da una Legge che egli stesso fece applicare per la prima volta in favore di Annamaria Ortese. Accompagnato, all’unanimità, stupito e fanciullesco, nell’ olimpo dei versi più alti.
Col tramonto dentro, sereno nello sguardo perso e concentrato sull’ orizzonte.
“Al dolore concedete metà del tempo; l’altra metà, vi prego, consegnatela all’Amore.” Beppe Costa.
Foto di Dino Ignani