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Slow Food contro il vertice delle Nazioni Unite


A seguito della contro-mobilitazione per il Pre Vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari, che a luglio ha riunito oltre 9 mila partecipanti da tutto il mondo, la società civile e i popoli indigeni continuano a far sentire la propria voce, in occasione del vertice che si terrà domani, 23 settembre, a New York.

Slow Food, in quanto parte della People’s Autonomous Response to the Unfss, ha subito denunciato i pericoli che l’impostazione del vertice ha sui diritti umani e sull’intero sistema multilaterale delle Nazioni Unite. A oggi la dichiarazione politica conta quasi 600 firme.

Un numero sempre crescente di voci, sia all’interno che all’esterno del vertice, tra cui governi, accademici e le stesse Nazioni Unite, condividono l’idea che l’autoproclamato “Vertice del Popoli” sia destinato al fallimento, vista la sua complessa impostazione ammiccante nei confronti delle multinazionali.

Fame, crisi climatica, covid-19: il fallimento dei principali obiettivi e il focus sulla tecnologia

In un documento pubblicato oggi, la People’s Autonomous Response, insieme ad altre 300 organizzazioni partecipanti in rappresentanza di produttori, popoli indigeni, Ong e ricercatori, contesta il vertice rispetto ai principali obiettivi riguardanti la fame nel mondo e la crisi climatica, la pandemia di covid-19, l’agricoltura industriale, e la concentrazione delle multinazionali nel settore alimentare. Al contrario, restringendo il focus sui temi della finanza, della tecnologia e dell’innovazione come soluzione, non fa altro che esacerbare l’insicurezza e la diseguaglianza alimentare.

Un processo non democratico che uccide il multilateralismo

Il processo di avvicinamento conferma le paure espresse da molti in questi ultimi due anni: le multinazionali stanno ridisegnando i sistemi alimentari mondiali. La People’s Autonomous Response sottolinea che questa implosione dei processi di multilateralismo è promossa dai piani alti delle Nazioni Unite, senza alcuna condivisione intergovernamentale o alcun mandato.

Nonostante l’impegno a non creare nuove strutture, le agenzie che hanno sede a Roma (Fao, Ifad, e Wfp) hanno comunicato la creazione di un hub di coordinamento per dare seguito al vertice. Una novità che cambierà notevolmente la governance globale relativa al cibo e all’agricoltura. Questo hub e l’“Advisory group” appena creato dovrebbero permettere di affrontare unitariamente tutte le priorità a livello globale, come l’ambiente, il clima, la sicurezza alimentare, salute e nutrizione. Ma questo cambiamento interferisce anche con le funzioni del Comitato per la Sicurezza Alimentare Mondiale (CFS) che ha il compito di assicurare, tra gli altri, politiche inclusive, coerenza, convergenza sui temi della sicurezza alimentare e della nutrizione.

Il CFS è un’occasione unica per la società civile per dialogare direttamente con i governi. Nel momento il cui ai principi del CFS subentrassero i cambiamenti proposti dal vertice, non esisterebbe più un luogo basato sui diritti umani nelle politiche relative al cibo, riducendo di fatto le possibilità dei popoli di intervenire su questi temi.

Il documento della People’s Autonomous Response avverte anche che i tentativi del vertice di cambiare l’architettura globale della governance alimentare stanno bypassando gli Stati membri e il CFS. Se questo dovesse accadere, il segretario generale Onu e le agenzie con base a Roma starebbero chiaramente agendo al di fuori del loro mandato. Un’occasione per fare chiarezza potrebbe essere la prossima plenaria del CFS, dall’11 al 14 ottobre.

Il ruolo di Slow Food

La rete Slow Food a livello mondiale è stata attiva nel cercare di influenzare il processo e cambiare il modo in cui le politiche alimentari sono trattate. Slow Food Usa fa parte della coalizione nordamericana sulla giustizia sociale che ha organizzato il People’s Kitchen Counter-Mobilization, con un intervento di Edie Mukiibi, vice presidente di Slow Food. Mukiibi è stato anche parte attiva del contro-vertice africano e della dichiarazione finale, firmata anche da Slow Food.

«Ancora una volta, purtroppo, quella che sarebbe stata un’occasione internazionale importante, è stata un’occasione mancata» dichiara Carlo Petrini, presidente di Slow Food. «Trasformare in maniera radicale il sistema alimentare è una esigenza ormai indilazionabile ma siamo ancora lontani dal vedere accolte le istanze di milioni di persone che nell’economia locale portano avanti questa trasformazione ambiziosa e utile. Insieme a centinaia di altre organizzazioni e movimenti in tutto il mondo, Slow Food ribadisce a gran voce i valori espressi nel documento della People’s Autonomous Response to the Unfss. Diciamo no a un sistema del cibo industrializzato, sì alla sovranità alimentare».

Edie Mukiibi, vice presidente di Slow Food e presidente di Slow Food in Uganda, riprendendo la dichiarazione finale africana, afferma: «Non si può rafforzare il sistema alimentare africano con false soluzioni elaborate in spazi internazionali non democratici e utilizzati dalle aziende per soddisfare la loro agenda estrattivista. Dobbiamo ricreare le relazioni sociali e politiche nel continente, ma anche le nostre relazioni con la natura, oltre che tra i lavoratori del nostro continente e quelli di tutto il mondo. A questo proposito, da un lato c’è bisogno che si dia voce ai produttori africani, alle loro esperienze e alle loro conoscenze all’interno della scena internazionale. Dall’altro, è tempo che i sistemi alimentari siano finalmente basati sul rispetto dei diritti umani, della biodiversità , dell’integrità ecologica e di un più ampio benessere socio-ecologico».

«La pandemia ci ha insegnato che il nostro sistema alimentare così com’è alimenta le multinazionali, invece di nutrire le persone con cibi culturalmente e nutrizionalmente ricchi. Ecco perché le comunità di tutto il mondo devono avere la possibilità di progettare autonomamente i propri sistemi alimentari, le politiche agricole e della pesca», aggiunge Anna Mulé, presidente di Slow Food Usa.


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