“Oggi vorrei parlare di due questioni importanti che la gente qui a Gaza dice essere fondamentali per la loro sopravvivenza. La sicurezza di chi si trova a Rafah e la consegna degli aiuti. Oggi Rafah è irriconoscibile a causa della congestione, delle tende agli angoli delle strade e dei terreni sabbiosi. La gente dorme per strada, negli edifici pubblici, in qualsiasi altro spazio vuoto disponibile. Gli standard globali per le emergenze umanitarie dicono che un bagno dovrebbe essere utilizzato da un massimo di 20 persone. A Rafah c’è circa un bagno ogni 850 persone. Per le docce, il numero è quattro volte superiore: una doccia ogni 3.600 persone. Si tratta di un’infernale mancanza di rispetto per i bisogni umani fondamentali e per la dignità.
Gli stessi standard dicono che le persone hanno bisogno di 15 litri d’acqua a testa, ogni giorno, e un minimo assoluto di tre litri solo per sopravvivere. Quando sono stato qui a novembre, le famiglie e i bambini della Striscia di Gaza facevano affidamento su tre litri o meno di acqua al giorno per persona. Oggi, in media, le famiglie intervistate hanno accesso a meno di un litro di acqua sicura per persona al giorno.
Anche la vicina Khan Yunis è irriconoscibile, anche se per un motivo diverso: non esiste quasi più. In 20 anni di lavoro alle Nazioni Unite non ho mai visto una tale devastazione. Solo caos e rovina, con macerie e detriti sparsi in ogni singola direzione. L’annientamento totale. Muovendomi per quelle strade, sono stato sopraffatto dal senso di perdita.
Il che ci riporta a Rafah. E al continuo parlare di un’operazione militare su larga scala a Rafah. Rafah è una città di bambini. 600.000 bambine e bambini. Un’offensiva militare a Rafah? “Offensiva” è la parola giusta. Rafah ospita alcuni degli ultimi ospedali, rifugi, mercati e sistemi idrici di Gaza rimasti.
E poi c’è il nord. Ieri sono stato di nuovo a Jabalia. Decine di migliaia di persone affollano le strade portandosi la mano alla bocca, il segno universale della fame. Quando sono arrivato nella Striscia di Gaza una settimana fa, c’erano centinaia di camion con aiuti umanitari salvavita, in attesa di raggiungere le persone che ne hanno urgente bisogno, ma dal lato sbagliato del confine. Centinaia di camion ONU/NGO sono attualmente bloccati in attesa di entrare a Gaza.
Ricordo che la classificazione integrata della fase di sicurezza alimentare (IPC) della scorsa settimana ha rilevato che la carestia è imminente nel nord di Gaza. Gaza ha ora la più grande percentuale di popolazione, ovunque, a ricevere la classificazione più grave da quando l’organismo ha iniziato a monitorare nel 2004.
Prima di questa guerra, la malnutrizione acuta nella Striscia di Gaza era rara, con meno dell’1% dei bambini sotto i 5 anni di età colpiti. Oggi un bambino su tre sotto i 2 anni soffre di malnutrizione acuta. È chiaro che il nord ha bisogno di enormi quantità di cibo e di trattamenti nutrizionali, con urgenza. Ma siamo chiari: i nostri sforzi per fornire questi aiuti sono ostacolati.
C’è un vecchio punto di passaggio esistente, Erez, che potrebbe essere utilizzato e che si trova a 10 minuti da coloro che affrontano la carestia. 10 minuti. Se lo aprissimo, potremmo risolvere la crisi umanitaria nel nord del Paese in pochi giorni. Ma rimane chiusa.
Tra il 1° e il 22 marzo, un quarto delle 40 missioni di aiuti umanitari nel nord di Gaza sono state negate. L’UNRWA è ora bloccata nel consegnare cibo al nord, eppure il 50% del cibo destinato al nord è stato consegnato dall’UNRWA.
Siamo chiari: gli aiuti salvavita vengono ostacolati. Si stanno perdendo vite umane. La dignità è negata. La privazione, la desolazione forzata, significa che la disperazione pervade la popolazione. E le persone si sentono a pezzi a causa degli attacchi incessanti.
La gente spesso si chiede se c’è ancora speranza. Qui tutto è agli estremi e questa domanda non è da meno. Da un lato, una madre mi dice che ha perso i suoi cari, la sua casa e la possibilità di nutrire regolarmente i suoi figli; tutto ciò che le rimane è la speranza. Ieri, poi, l’UNICEF si è seduto con degli adolescenti, molti dei quali hanno detto che desiderano così tanto che il loro incubo finisca, che sperano di essere uccisi.
A Gaza si dice regolarmente l’indicibile. Da ragazze adolescenti che sperano di essere uccise, a chi dice che un bambino è l’ultimo sopravvissuto di tutta la sua famiglia. Questo orrore non è più unico qui.
In mezzo a tutto questo, tanti palestinesi coraggiosi, generosi e instancabili continuano a sostenersi a vicenda. Anche le agenzie ONU e l’UNICEF continuano a farlo. Per l’UNICEF, continuiamo a lottare per ogni bambino. Acqua, protezione, nutrizione, riparo. L’UNICEF è qui.
Come abbiamo sentito ieri: il cessate il fuoco deve essere sostanziale, non simbolico. Gli ostaggi devono tornare a casa. La popolazione di Gaza deve poter vivere.
Nei tre mesi trascorsi tra le mie missioni, ogni numero orribile è aumentato drammaticamente. Gaza ha infranto i record dell’umanità per quanto riguarda i suoi capitoli più oscuri. L’umanità deve ora urgentemente scrivere un capitolo diverso”.
Comunicato Stampa: Unicef