Allarme Ebola
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Ebola: test escludono virus su italiana a Istanbul


Si sono conclusi i test clinici sulla giovane modenese ricoverata a Istanbul: niente malaria e nemmeno il temuto virus Ebola per la giovane fermata al rientro dal Ciad. Negativi anche gli esami su un amico che si era fermato con lei. Lo scrive l’arcidiocesi di Modena-Nonanatola. Stanno bene e sarà organizzato il loro rientro.

La data del rientro non è ancora stata fissata. Il ritorno in Italia dei due giovani modenesi, spiega l’Arcidiocesi, sarà organizzato con il Consolato Italiano, “che ha dato loro assistenza e supporto nei giorni scorsi, a cui va un sentito ringraziamento”. Un grande ringraziamento “anche ai Padri Salesiani di Istanbul, che si sono occupati dei giovani viaggiatori”.

I due ragazzi erano parte di una comitiva di ragazzi che aveva partecipato ad un viaggio di solitarietà nel paese africano durato circa tre settimane. Un tipo di esperienza organizzato da anni per numerosi giovani dal centro missionario modenese.

Nel volo di rientro la ragazza aveva accusato malesseri (come la febbre alta, che però aveva già al momento della partenza) e quindi era stata presa in carico dalle autorità sanitarie turche per un periodo di osservazione clinica, come previsto dai protocolli sanitari attivati negli scali internazionali per prevenire contagi e contaminazioni. Gli esami però hanno escluso sia Ebola, sia la malaria (altra patologia temuta all’inizio).

L’ipotesi prevalente è che la ragazza sia stata colpita da una seria forma di gastroenterite di quelle tipiche che colpiscono i viaggiatori.

OMS: PIU’ DI 120 DECESSI TRA PERSONALE MEDICO – L’epidemia da virus di Ebola in Africa occidentale è “senza precedenti” anche per l’alta percentuale di medici, infermieri e altri operatori sanitari colpiti: ad oggi, più di 240 operatori sanitari hanno sviluppato la malattia in Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone, e più di 120 ne sono morti, afferma l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in una nota. Tra i fattori che possono spiegare l’alta percentuale di personale medico infetto, l’Oms menziona la carenza di mezzi di protezione individuale o il loro uso improprio, la scarsità di personale medico per una epidemia di tali dimensioni e la compassione che spinge il personale medico a lavorare in reparti di isolamento ben oltre il numero di ore raccomandato. Per l’Oms, il pesante tributo pagato dagli operatori sanitari in questa epidemia ha inoltre conseguenze che ostacolano ulteriormente gli sforzi di lotta al virus.

IN 38 ANNI, BEN 27 LE EPIDEMIE DI EBOLA – L’esplosione dei casi e delle morti provocati quest’anno dalla febbre emorragica Ebola non ha confronto rispetto alle 23 epidemie provocate dallo stesso virus dal 1976 ad oggi in Africa. In questi 38 anni il virus letale ha colpito dieci Paesi africani, contagiando oltre 5.000 persone e uccidendone più di 3.000. Circa la metà dei casi e dei decessi si concentra però nel 2014 e nei quattro Paesi che attualmente lottano contro la febbre emorragica: Nigeria, Sierra Leone, Liberia e Guinea. In nessuno di essi il virus era mai comparso finora.

Il numero dei casi intanto continua a salire. Domenica tre pazienti sono risultati positivi al test di Ebola nell’ospedale di Emergency di Emergency di Goderich, in Sierra Leone. Sempre in Sierra Leone è stato colpito dal virus un esperto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), mentre il Parlamento ha deciso che è reato ospitare i malati di Ebola. Tuttavia il mondo della ricerca afferma che ”non è assolutamente il caso di cadere nel panico”: lo rileva il virologo Oyewale Tomori, dell’università nigeriana Redeemer e uno degli esperti di riferimento dell’Oms in Africa. Lo fa in una dichiarazione rilasciata online, sulla rete che riunisce medici e biologi nigeriani e ripresa dalla Società internazionale per la ricerca sulle malattie infettive.

”Ebola – aggiunge – è una malattia letale, ma i pazienti hanno buone probabilità di sopravvivere se assistiti precocemente”. E’ stata questa, per Tomori, la principale lezione delle 23 epidemie avvenute a partire dal 1976. Sono stati aghi e siringhe contaminati a provocare la prima epidemia nell’attuale Congo (allora Zaire), con 318 casi e 280 morti. Nello stesso anno, secondo la ‘mappa’ della malattia elaborata dalla società specializzata in software geografici Esri, sempre in Sudan contatti tropo ravvicinati all’interno degli ospedali hanno provocato 284 casi, 151 dei quali mortali. I contatti ravvicinati e il mancato rispetto di misure igieniche sono stati anche all’origine del ritorno dell’epidemia in Sudan, nel 1979 (34 casi, 22 morti). Nel 1994 è stata la volta del Gabon (52 casi, 31 morti) e l’anno successo del Congo (315 casi, 254 morti). Nel 2000 i contatti diretti con persone colpite dal virus all’interno delle famiglie e con il personale medico hanno scatenato l’epidemia in Uganda (425 casi e 224 morti). (fonte Ansa)

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