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Confindustria lancia l’allarme: Italia ha perso 15 anni di crescita


Confindustria taglia le stime sulla crescita economica dell’Italia e lancia un nuovo allarme: “Gli altri crescono, noi siamo fermi da 15 anni”. Dopo il taglio di giugno, gli economisti dell’associazione degli industriali ha limato ancora al ribasso le sue stime sul Pil: a fine anno la progressione si fermerà al +0,7% (era +0,8%), ma l’anno prossimo farà ancora peggio a +0,5% (era +0,6%). “La crescita 2017 – avverte il Centro studi – non è scontata e va conquistata”. Gli industriali quindi tornano all’attacco denunciando il “quindicennio perduto” e il “tempo sprecato” dal Paese che oggi “soffre di una debolezza superiore all’atteso”. Una situazione che rimanda ancora l’appuntamento con i livelli precrisi: “Per tornare alla situazione del 2007 dovremo aspettare il 2028”.

La diagnosi per Luca Paolazzi, capo economista di Confindustria, è chiara: “Non riusciamo a schiodarci dalla malattia della bassa crescita di cui soffriamo dall’inizio degli anni duemila”. I dati Csc mostrano come “prima, durante e dopo la Grande Recessione (in Italia più intensa e più lunga) si è accumulato un distacco molto ampio” con altri Paesi Ue. Tra 2000 e 2015 il Pil è aumentato in Spagna del 23,5%, Francia +18,5%, Germania +18,2%. In Italia è “calato dello 0,5%” e con le dinamiche in corso i gap aumentano oggi “ancor più rapidamente”.

Secondo le previsioni di Confindustria, l’occupazione continua a salire ma perderà slancio a metà anno e nel 2017; dall’altra parte i disoccupati sono in lento calo ma il tasso dei senza lavoro resterà “elevato”. “L’aumento dell’occupazione (calcolata sulle Ula, unita di lavoro equivalenti a tempo pieno), – scrive il Csc – iniziato già nel 2014 (+0,3%) e consolidatosi nel 2015 (+0,8%) è proseguito nella prima metà del 2016 (+1,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). L’incremento si smorzerà nella seconda parte dell’anno e nel 2017, dato il rallentamento del Pil.

Le riforme sono “molto importanti” e in “gran parte attendono piena attuazione e la trsformazione in comportamenti”. Ma quando vengono attuate” i risultati non tardano a concretizzarsi”: è il caso del Jobs Act con cui sono stati creati molti posti fissi in più. E’ quanto stima il Centro studi Confindustria negli scenari economici. “Un chiaro esempio è fornito dal Jobs Act accompagnato dalla temporanea riduzione della contribuzione sociale a carico delle imprese. Quasi i quattro quinti (l’80%) degli oltre 426mila posti di lavoro aggiuntivi creati dall’inizio del 2015 a metà 2016 sono con contratti a tempo indeterminato”. Prima del Jobs Act erano solo il 20%.


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