Penélope Cruz e Javier Bardem di nuovo insieme al cinema con “Tutti lo sanno”


Penélope Cruz e Javier Bardem di nuovo insieme sul grande schermo con TUTTI LO SANNO, il nuovo film del regista premio Oscar Asghar Farhadi, presentato in anteprima al Festival di Cannes.

SINOSSI – In occasione del matrimonio della sorella, Laura torna con i figli nel proprio paese natale, nel cuore di un vigneto spagnolo. Ma alcuni avvenimenti inaspettati turberanno il suo soggiorno facendo riaffiorare un passato rimasto troppo a lungo sepolto.

Intervista ad Asghar Farhadi

Come è nato questo progetto?
Quindici anni fa, sono stato nel sud della Spagna. Durante questo viaggio, in una città ho visto diverse foto di un bambino affisse ai muri. Quando ho chiesto chi fosse, ho saputo che era un bambino scomparso e che la sua famiglia lo stava cercando: lì è nata la prima idea del film.
Quella storia mi è rimasta sempre impressa e quando ho finito di girare Il passato ne ho tratto un piccolo racconto. Ci ho messo fare in modo che il film rispecchiasse il più possibile uno spaccato di vita spagnolo, in particolare di vita contadina.

Lei ha già girato il film Il passato in Francia e in francese. È più difficile lavorare con una troupe straniera e in una lingua straniera?
Quando giro nella mia lingua e nel mio paese, alcune cose sono più semplici altre più complicate. È difficile da spiegare. Quando si parla la stessa lingua è più facile comunicare, soprattutto con gli attori. Se la storia si sviluppa all’interno della tua cultura è più facile trovare punti di riferimento. Se non conosci bene la lingua e la cultura della storia che racconti, invece, devi essere più attento e concentrato per non compromettere il risultato finale. Per esempio, se giro in Iran e voglio chiedere qualcosa a un attore, posso discuterne con lui o con lei e dilungarmi in spiegazioni. Se giro in una lingua straniera, invece, e devo passare attraverso un interprete, cerco di essere il più sintetico e chiaro possibile per aiutare l’attore a capire in fretta. Quindi è semplice e complicato insieme. In ogni caso, giro la maggior parte dei miei film nel mio paese. Ma il fatto di girare anche all’estero mi offre la possibilità di fare nuove esperienze, di mettermi alla prova e di scoprire altre culture. In poche parole, ognuna delle due esperienze ha i suoi pro e i suoi contro. Nel mio paese giro senza grandi difficoltà pratiche, e lavoro da parecchio tempo con la stessa troupe, per cui ci conosciamo tutti molto bene.

Come ha scelto i suoi attori?
Per prima cosa cerco una storia da cui possa emergere la sceneggiatura iniziale, poi penso ai personaggi e li sviluppo cercando di metterne a fuoco i diversi aspetti. Così, quando il momento delle riprese si avvicina, ho già un’immagine precisa in testa e so cosa voglio.
Appena arrivato in Spagna ho visto molti film spagnoli, alcuni per intero altri solo in parte. Ho scelto alcuni attori per ognuno dei ruoli e ho proceduto per esclusione finché non ho trovato quelli giusti. Uno dei punti di forza del cinema spagnolo, secondo me, è che è pieno di attori straordinari e questo mi ha aiutato a trovare quelli più adatti ai loro ruoli, principali e secondari.

Ha scritto qualcuno dei personaggi pensando a un attore in particolare?
I due personaggi principali sono stati scritti per Penélope e Javier. Erano quattro anni che parlavamo della sceneggiatura e avevano già accettato di fare il film. Quindi ho scritto il copione pensando a loro. Ma gli altri li ho scelti tutti dopo aver scritto il copione.

Come mai ha scelto Penélope Cruz e Javier Bardem?
Quando ero in Francia per girare Il passato, una delle candidate per il ruolo della protagonista era Penélope, che purtroppo in quel momento era già impegnata… O meglio, aveva appena partorito. Così, non abbiamo potuto lavorare insieme, ma siamo diventati amici. Ho parlato di questo progetto prima con lei e poi con Javier, quando l’ho incontrato a Los Angeles. Nei quattro anni successivi siamo rimasti in contatto e hanno seguito gli sviluppi del progetto. Ma dopo Il passato ho deciso di tornare in Iran e di girare un altro film, e questo ha rimandato il nostro progetto di altri due anni. Non ci siamo mai persi di vista, però.

Al di là delle loro interpretazioni, questi due attori hanno contribuito in modo determinante alla realizzazione del film. In tutti questi anni hanno sempre risposto con grande generosità alle mie domande su qualsiasi argomento potesse riguardare il progetto. Oltre ad essere due attori straordinari, sono anche persone di grande umanità, e il rapporto che c’è tra noi va oltre la collaborazione professionale.

Che cosa ci dice della scelta di Ricardo Darín?
Non era previsto, all’inizio, che il personaggio di Ricardo fosse argentino: doveva essere un turista americano in Spagna. D’altra parte, se uno dei personaggi fosse stato americano avremmo dovuto girare il film in due lingue, l’inglese e lo spagnolo. Ma io preferivo che ce ne fosse una sola e condivisa da tutti i protagonisti. E così, invece che al Nordamerica ho pensato al Sudamerica, e in particolare all’Argentina. E Ricardo è tra i migliori attori sudamericani sulla piazza. Quando l’ho conosciuto più da vicino, ho capito perché fosse così amato da tutta la troupe: è un uomo semplice e sincero, che ti fa sentire come se vi conosceste da una vita. Appena è arrivato dall’Argentina ci ha aiutato a mettere a fuoco tutto quello che riguardava la cultura argentina, perché il suo personaggio risultasse il più possibile credibile.

Come le sono venuti in mente i due personaggi principali?
All’inizio non mi concentro mai sui personaggi. Cerco semplicemente di sottolineare nella storia gli aspetti che influiscono su ognuno di loro, senza difendere o giustificare l’uno o l’altro. I personaggi principali devono tutti avere le stesse possibilità di esprimersi. Questo consente allo spettatore – e non al regista – di scegliere liberamente a quale personaggio affezionarsi fin dall’inizio. È il metodo che ho seguito per realizzare questo film, e tutti gli altri del resto. In pratica, cerco di fare in modo che sia lo spettatore a giudicare. Acuni credono che io incoraggi il pubblico a non giudicare nessuno dei personaggi, mentre quello che cerco di fare, in realtà, è eliminare ogni traccia di giudizio da parte mia, per lasciarlo al pubblico.

Come ha lavorato con gli attori, prima e durante le riprese?
Questo film ha conosciuto una lunga fase di pre-produzione, sia per la ricerca degli esterni che per il casting. Alcuni attori sono stati scelti più rapidamente di altri, e abbiamo avuto più tempo per le prove. Ho cercato di parlare molto con gli interpreti, per trasmettere loro quello che avevo in mente. All’inizio pensavo che avrei avuto difficoltà a farmi capire, visto che non parlavamo la stessa lingua, ma appena abbiamo cominciato a lavorare tutto si è rivelato molto più semplice del previsto. Ho cominciato le prove con Javier e Penélope. Gli altri attori sono arrivati dopo. Abbiamo fatto diverse prove, ma non necessariamente di scene del film.

Abbiamo parlato a lungo su come avrebbero dovuto camminare, parlare, gesticolare, sul loro aspetto esteriore. Lo scopo era quello di renderli credibili come abitanti di un paesino di campagna. Poi abbiamo cercato di ricreare i rapporti familiari che dovevano esserci tra loro.

Può dirci qualcosa sulla sua collaborazione col celebre direttore della fotografia spagnolo José Luis Alcaine?
Credo che sia uno dei più grandi direttori della fotografia del mondo. Ha 78 anni, oggi, e l’energia di un trentenne. Temevo che il suo stile fosse troppo diverso da quello degli altri miei film, quello stile realista a cui tendo sempre. Ne abbiamo discusso a lungo, prima delle riprese. Aveva già visto i miei film e li conosceva bene. La nostra collaborazione è stata ottima.

Ha cercato in tutti i modi di mettersi al servizio del realismo che cercavo. È uno straordinario direttore della fotografia che conosce bene la pittura e i problemi della luce. Vuole sempre sperimentare nuove idee e evitare i cliché, e possiede quel tipo di audacia che di solito associamo alla gioventù.

Per concludere…
Quello che cerco durante la stesura di una sceneggiatura e la lavorazione di un film, e che domina il mio spirito, si può riassumere in una parola: empatia. Non mi interessa necessariamente trasmettere un messaggio. Se alcuni spettatori di una qualsiasi parte del mondo, qualunque siano la loro lingua, la loro cultura o il loro carattere, riescono a provare un sentimento di empatia per uno dei miei personaggi, a immedesimarsi in uno di loro, allora ho raggiunto il mio scopo. È questo che metto al primo posto quando faccio un film, la cosa di cui io stesso ho bisogno e di cui il mondo intero ha bisogno oggi : la comprensione per gli esseri umani al di là delle frontiere e delle culture..

Newsletter


Guarda anche...

Javier Bardem

Javier Bardem all’Onu per salvare gli Oceani

Javier Bardem in campo all’Onu per proteggere gli Oceani. L’attore spagnolo premio Oscar ha preso …