Achille Lauro Vanity fair
Achille Lauro ph. Luigi & Iango

Achille Lauro si mette a nudo su Vanity Fair


Il protagonista del nuovo numero di Vanity Fair è Achille Lauro. Sette album (l’ultimo, Comuni mortali, esce il 18 aprile), milioni di streaming, cinque Festival di Sanremo, un Eurovision Song Contest e un’edizione di X Factor da giudice. Il cantautore romano si racconta in una lunga intervista e all’interno dell’esclusivo Reframed, il format video del magazine: «A undici anni avevo già capito tutto: essere chi volevo essere a qualunque costo. Ma allora era impensabile che mi avrebbe portato qui. Sì, mi sono perso. Il mio percorso è stato cinematografico. Ogni volta che oggi torno dove sono cresciuto e da uomo vedo le conseguenze spesso tragiche della periferia, della vita spericolata, penso di essere un miracolato. La mia grande fortuna è stata aggrapparmi allo spiraglio della musica».

QUOTES

Sulla madre: 

«Non le avevo mai detto che sognavo di diventare un artista, me lo sono tenuto dentro per dieci anni, fino a quando sono stato notato da tutti. Lei mi ha insegnato a distinguere il bene dal male, perché mi chiedeva conto delle mie azioni. Mi ha insegnato anche ad accorgermi delle persone invisibili, a ricordarmi del prossimo. Lo ha fatto con l’esempio: ha ospitato a casa bambini di famiglie in difficoltà anche quando noi stessi eravamo disperati».

Sul suo carattere: 

«Sono riservato, seppur estroverso. Sono sempre stato sensibile. Però la sensibilità non pagava nel mio mondo, specie durante l’adolescenza: mi vergognavo a piangere, a mostrare i sentimenti, ad amare. Negli anni Novanta, nel mio mondo, essere bullizzato faceva parte del percorso di crescita. O eri vittima o eri carnefice E io, per difendermi, sono anche stato carnefice».

Sul padre: 

«Ho avuto un rapporto abbastanza complicato con lui. Si è allontanato da noi, ho sofferto tantissimo. Ma crescendo si comprende, si perdona. Oggi sono un uomo di 34 anni, sto facendo il mio viaggio. La vita è ciclica e mi piace immaginarla come un tavolone che ospita tutta la famiglia, dal nonno ai nipoti, e col tempo quel tavolo scorre: il nonno se ne va, i suoi figli prendono il suo posto. Più scorre, più cambi modo di pensare, di valutare, cerchi di metterti nei panni di chi ti ha preceduto». 

Sull’amore:

«Sono single, non voglio storie perché hanno bisogno di cure e attenzioni, e io potrò darle solo quando non avrò distrazioni. Ho ambizioni gigantesche, sogno in grandissimo: mi piacerebbe arrivare all’estero, fare moda. Sono un ossessivo compulsivo che coglie ogni opportunità». 

Sull’educazione sentimentale ricevuta:

«Sono figlio del maschilismo, e lo rifiuto proprio perché l’ho conosciuto e poi perché sono stato cresciuto da donne: mia madre, le sue cinque sorelle, le mie cugine… Ho costruito me stesso sulla sofferenza, sull’abbandono, sulla solitudine, per cui ho convissuto con dipendenze emotive, mi è capitato di non sentirmi adeguato o all’altezza delle persone con cui sono stato. Però alla fine ho trovato la mia stabilità. E ho capito una cosa importantissima: certe persone non entrano nella nostra vita per rimanere, ma per cambiarci». 

Sul futuro:

«Un sogno nel cassetto? Forse la direzione artistica di Sanremo, ma non ho fretta. Per il momento lascio il compito a chi lo sta facendo benissimo, come Carlo Conti. Un pittore dipingerebbe lo stesso quadro per la sua intera esistenza? No. Ecco, io ho la necessità di cambiare quadro ogni volta, soprattutto di stupirmi».

L’intervista completa è disponibile sul numero di Vanity Fair in edicola dal 16 aprile e sul sito vanityfair.it

Giornalista: Chiara Oltolini 

Fotografi: Luigi & Iango

Servizio: Nick Cerioni

Fashion credits: 

Cover Look: Giacca HTC; Pantaloni Dsquared2; Orecchini, Damiani; Collana, Gioielleria Pennisi.

Comunicato Stampa: Marta Romanati


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