Jacopo Facchi: il 20 settembre esce “Stray Dogs” primo disco solista


Stray Dogs è il primo disco solista di Jacopo Facchi. Un ep che parla di viaggi: di quelli fatti di miglia aeree sopra l’Oceano Atlantico tra l’Italia e gli Stati Uniti e di quelli che tengono svegli la notte a pensare e poi non si sa più neanche dove ci si trova.

Un disco acustico, sincero e profondamente onesto, scritto in un anno e mezzo trascorso in America dal cantautore bresciano viaggiando da un posto all’altro. Un disco in cui le idee e le suggestioni arrivano dall’eterno movimento, dal tempo trascorso solo con la chitarra, da una provincia per la prima volta forse troppo lontana e da un’ispirazione, quella di Mark Knopfler, che rappresenta una certa idea del fare musica nel suo lasciarsi alle spalle l’elettrico e abbracciare l’acustico.

Stray Dogs è un disco randagio come i cani a cui ammicca, imbevuto di wanderlust e di un senso dell’altrove che a volte è esplorazione di sé, del mondo e dei propri limiti, e altre è solitudine, non alienata, ma condivisa, come condizione che prima o poi ha interessato ognuno di noi.

«Quelle racchiuse in questo disco sono tante idee e sensazioni, come puntini sparsi, che poi diventano canzoni – spiega Jacopo Facchi – Puntini sparsi che a volte siamo anche un po’ noi e un po’ io che scrivo il disco e un po’ ancora le nostre vite. Siamo vicini eppure siamo tutti un po’ soli».

Stray Dogs in realtà nasce già prima della partenza per gli States qualche anno fa, con un amore rimasto in sospeso e un lavoro accettato da Jacopo Facchi a una sola condizione: «poter portare la chitarra ovunque mi avrebbero spedito, lei avrebbe dovuto venire sempre con me».

È quel primo amore di uno Jacopo bambino, la chitarra, l’ossatura essenziale e mai scarna di questo disco.
Un disco cresciuto a sei corde e voce, pensato per suonare asciutto eppure caldo, capace di stare tutto in una custodia che si aprisse sui piccoli palchi dei localini di cui sono punteggiati gli States.

Le canzoni crescono attorno a questa relazione primaria tra la chitarra e il cantato, «pensate per essere portate in giro quasi sempre da solo e per suonare bene in un luogo intimo, con strumenti veri e tanto tanto legno».

Nei cinque pezzi del disco il tema del viaggio con la chitarra in spalla viene affrontato in senso stretto con The City e Philadelphia, luoghi in cui l’artista ha sfiorato e poi ritrovato l’amore il primo, e metropoli in cui si è trasferito la seconda.

Eat like a dog invece è una sorta di manifesto del sentire e del vivere di Jacopo Facchi, il brano da cui prende spunto il titolo del disco, in cui la freddezza razionale dell’uomo si confronta con la semplicità dell’amore dei cani, totalmente disinteressata, una canzone in cui il voler semplicemente essere si contrappone al dover fare.

E poi ancora See, un brano che strizza l’occhio al carpe diem, alla fugacità dell’esistenza e alla necessità profonda di vivere il momento. Una canzone le cui atmosfere riecheggiano anche in The note una piccola antologia di post-it lasciati su una parete e poi racchiusi in musica, «specchio della forza che nonostante tutto ci fa tirare avanti e voltare pagina».

In questo debut solista c’è un movimento doppio di apertura al mondo e allo stesso tempo di raccoglimento intimo e riflessivo, sostenuto da un grande ritorno alle radici acustiche della musica, tra Mark Knopfler post Dire Straits e un grande della chitarra degli anni Cinquanta come Chet Atkins.

Due riferimenti enormi alle spalle e alcuni buoni amici (e altrettanto buoni musicisti) accanto per Jacopo Facchi nella produzione indipendente di questo disco: Michele Coratella, già produttore degli Even – progetto precedente del cantautore bresciano – e Ricky Ruggeri, bassista della band e oggi accanto a Jacopo anche alle voci e all’organo, alla batteria invece c’è Massimiliano Tonolini.

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