Il Consiglio di Stato a poche settimane di distanza contraddice sè stesso sulla legge che ha differito di quindici anni la scadenza delle concessioni demaniali marittime vigenti (art. 1 commi 682 e segg. della legge 30 dicembre 2018 nr. 145)


Si ricorderà che non più tardi dello scorso 24 ottobre, il Consiglio di Stato, Sez. V, con diverse sentenze, aventi stesso contenuto e motivazione, (nnrr. 7251, 7252, 7253, 7254, 7255,7256, 7257 e 7258) in una serie di contenziosi identici, in cui si contestava l’avvio da parte di un Comune della procedura di pubblica evidenza su concessioni demaniali marittime, aveva dichiarato “l’improcedibilità” degli appelli promossi dal Comune in quanto “la concessione, di cui si contesta la mancata proroga, risulta in realtà prorogata dal sopravvenuto art. 1, commi 682 e seguenti, della legge n. 145 del 2018”.

Al contrario, con la sentenza nr. 7874, depositata ieri, il Consiglio di Stato, questa volta sez. VI, in un contenzioso in cui si chiedeva a un Comune proprio la indizione di una gara per un’area demaniale oggetto di concessione in essere, ha dichiarato che “la più recente proroga legislativa automatica delle concessioni demaniali in essere fino al 2033, provocata dall’articolo unico, comma 683, l. 30 dicembre 2018, n. 145” sarebbe contraria al diritto europeo in quanto sussiste “in via generale l’illegittimità di una normativa sulle proroghe ex lege della scadenza” (v. punto 11).

Ciò che era legittimo nelle sentenze del 24 ottobre diventa illegittimo in quella del 18 novembre! E verrebbe provocatoriamente da aggiungere: aspettando la prossima.

Nel mentre, significativamente, la Commissione europea, a distanza di un anno, non ha intrapreso alcuna procedura di infrazione per la norma de quo.

E’ una sentenza non solo in evidente contrasto con quanto affermato, anche se da diversa sezione, poche settimane addietro ma, soprattutto, contraddittoria nelle motivazioni.

Se al punto 11) una qualsiasi proroga viene dichiarata illegittima in quanto “generale e automatica”, al successivo punto 12) poi si ammette che può essere conforme al diritto europeo per la tutela del cd. legittimo affidamento.

Infatti, il Consiglio di Stato riconosce che la Corte di Giustizia. abbia “precisato che una proroga di una concessione demaniale è giustificata laddove sia finalizzata a tutelare la buona fede del concessionario”, ma siffatta deroga, a suo giudizio, viene limitata, arbitrariamente, alla “(sola) proroga prevista dall’art. 1, comma 18, d.l. 194 del 2009” non estendendola anche a quelle successive “essendosi consumata la possibilità di aderire alla posizione “mitigativa” già a far data dal secondo rinnovo” (v. punto 12).

Non v’è chi non veda l’irragionevolezza di riconoscere validità solo a una proroga iniziale con la conseguenza paradossale che anche una proroga lunghissima sarebbe valida, purché prima e invalida, ancorché assai temporalmente limitata, se successiva.

Ma, oltre che contraddittoria, questa sentenza è anche carente laddove non valuta le conseguenze di un’eventuale pubblica evidenza sul diritto di proprietà aziendale del preesistente concessionario (come è noto riconosciuto dalla Corte di giustizia con la sentenza del 28 gennaio 2016 Laezza), la cui lesione comporterebbe gravi conseguenze proprio in capo ai funzionari pubblici e ai Comuni competenti.

Se infatti a costoro spetta (come anche chiarito dal Consiglio di Stato al punto 14 della sentenza), applicare il diritto dell’Unione europea, di conseguenza agli stessi compete sia evitare la lesione del diritto di proprietà aziendale del concessionario che salvaguardare il cd legittimo affidamento derogatorio dell’obbligo di gara così come prescritto dal comma 683 dell’articolo 1 della legge 145 che riguarda esclusivamente le concessioni anteriori al 31 dicembre 2009, data di abrogazione del cd diritto di insistenza.

Pertanto, il Consiglio di Stato, in materia di demanio marittimo, continua ad essere, purtroppo, fonte di incertezza giuridica con orientamenti oscillanti e contraddittori come, d’altronde, manifestatosi recentemente anche sulla individuazione del momento in cui avviene la devoluzione delle opere: se alla semplice scadenza delle concessioni (v. C.d.S. 3 dicembre 2018 nr. 6853) o, invece, con lo “spirare” definitivo della stessa (v. C.d.S. 26 maggio 2010, n. 3348 e C.d.S. del 2 settembre 2019 nr. 6043).

Sarebbe per tutti utile che si evitasse un’azione di supplenza del Legislatore e, nel contempo che quest’ultimo chiamasse il Consiglio di Stato, nella sua funzione consultiva, a collaborare per la costruzione di una nuova normativa che dia, finalmente, certezza agli operatori pubblici e privati.

Antonio Capacchione – Presidente S.I.B.


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