Tor Bella Monaca
“Abrahams Barn | Figli di Abramo – Un patriarca, due figli, tre fedi e un attore”

Tor Bella Monica gli spettacoli della settimana


Al TBM si affaccia una nuova intensa settimana. Dal 23 al 29 ottobre il cartellone del teatro capitolino diversifica l’offerta non solo con una rappresentazione contemporanea, che punta i riflettori sulla società scandinava che funge da specchio a quella Occidentale, ma anche donando molti spunti su cui riflettere andando indietro nel tempo

“L’asino”, produzione Teatri Molisani | Florian Metateatro, sarà in scena da martedì 24 a venerdì 27 ottobre. Il testo di Jon Jesper Halle, tradotto da Maria Sand, vanta la regia di Gianluca Iumiento e l’interpretazione di Anna Paola Vellaccio e Stefano Sabelli. Jon Jesper Halle, è un autore norvegese, docente di drammaturgia alla KHIO, National Accademy of the Arts di Oslo. Nelle sue opere, spesso in forma di dark comedy, Halle, mette in scena il lato oscuro della quotidianità scandinava, quello che non traspare sotto l’apparente perfezione borghese e l’agiato e perbenismo nord-europeo. Ansie, paure, senso di inferiorità e precarietà si mescolano così a rabbia repressa, frustrazioni e sogni troppo grandi per essere realizzati. Fra voglia di fuga e rifiuto delle convenzioni, il Teatro di Jesper Halle è un gioco d’equilibri e sorrisi amari, tra mitologia nordica e cronaca domestica. “L’asino”, atto unico sperimentale, scritto da Halle in una fase di ricerca e studio sulla scrittura polivocale – teorizzata ed elaborata dall’americano Paul Castagno – non sfugge a questo schema. Anzi lo esaspera. Tipico del teatro polivocale è infatti il movimento di un’azione scenica, non prevedibile, ispirata piuttosto dal dialogo interiore, subliminale e occulto, tra le voci dell’opera, in continuo scontro dialettico fra loro. In scena, un serrato dialogo a due, fra un ruolo femminile realistico e uno maschile evocativo. Ne nasce un incontro/scontro che da un piano, apparentemente naturalista, improvvisamente tracima in una rappresentazione multiforme e sarcastica della società scandinava contemporanea, messa a nudo e sferzata con irridente epicità, mentre, sempre più evidenti, emergono le Voci di dentro di una donna comune. Critico nei confronti di una claustrofobica e perbenista società norvegese, “L’asino” descrive il sentimento di sentirsi intrappolati dalla vita, dal passato, oppressi da una società conformista (quella scandinava ma più in generale di un Occidente ricco e opulento), che fa emergere una prepotente spinta emotiva che – come un sordo Urlo alla Munch – spinge ad abbandonare ogni sicurezza borghese e comodità pregressa, per una più vitale, per quanto incerta, animalità. Aiuto regia e luci: Eva Sabelli; Canzoni dal vivo: Arianna Sannino; Scene e immagini: Keziat.

Segue “L’avaro immaginario”, I Due della città del Sole produzione, in programma venerdì 27, sabato 28 ottobre e domenica 29 ottobre. Tratto da Molière/Luigi De Filippo lo spettacolo è adattato e diretto da Enzo Decaro, il quale recita al fianco di Nunzia Schiano e a La Compagnia Luigi De Filippo(in o.a.): Luigi Bignone, Carlo Di Maio, Massimo Pagano, Giorgio Pinto, Fabiana Russo, Ingrid Sansone. Sette quadri, un prologo e un epilogo. È un viaggio nel teatro, quello di Molière in primo luogo, ma non soltanto. È anche un viaggio nel tempo quello del Seicento, un secolo pieno di guerre, epidemie, grandi tragedie ma anche di profonde intuizioni e illuminazioni che non riguardano solo “quel tempo”. Ma è anche il viaggio, reale e immaginario, di Oreste Bruno, da Nola, e la sua famiglia, che è poi anche la sua Compagnia viaggiante di teatranti: è la tipica “carretta dei comici” tanto cara sia a Peppino che a Luigi De Filippo. È il viaggio verso Parigi, verso il teatro, verso Molière. Ma anche una fuga: dalla peste, da una terribile epidemia che ha costretto i Nostri a cimentarsi in un avventuroso viaggio verso un sogno, una speranza o solo la salvezza. Lungo il percorso, quando “la Compagnia” arriva nei pressi di un centro abitato, di un mercato o di un assembramento di persone, ecco che il “carretto viaggiante” diventa palcoscenico e “si fa il Teatro”. E col “teatro” si riesce anche a mangiare, quasi sempre. Infatti, grazie agli stratagemmi di tutti i componenti della famiglia teatrale, si rimedia il pasto quotidiano o qualche misera offerta in monete o, più spesso, qualche pezzo di animale già cucinato offerto come compenso della esibizione sul palco-carretto, manco a dirlo, delle opere di Molière (“L’Avaro” e “il Malato Immaginario” sono “i cavalli di battaglia” di cui vengono proposti i momenti salienti, opportunamente adattati al luogo e agli astanti). Gli incontri durante il viaggio, sorprendenti ma non tutti piacevoli, l’avvicinamento anche fisico a Parigi, al teatro di Molière, la “corrispondenza” che il capocomico invia quotidianamente all’illustre “collega”, la forte connessione tra il mondo culturale e teatrale della Napoli di quel tempo (con Pulcinella che diventa Scaramouche) con quella francese, di Molière ma forse ancor più di Corneille (che si celerebbe sotto mentite spoglie dietro alcune delle sue opere maggiori) la pesante eredità del pensiero di uno zio prete di Oreste Bruno, Filippo detto poi Giordano, morto da alcuni decenni ma di cui per fortuna non si ricorda più nessuno, e la morte in scena dello stesso Molière poco prima del loro arrivo a Parigi, renderanno davvero unico il viaggio di tutta la “Compagnia di famiglia” commedianti d’arte ma soprattutto persone “umane”, proprio come la grande commedia del teatro, dove “tutto è finto, ma niente è falso”. Musiche: Nino Rota (da “Le Molière Immaginarie”); Musiche di scena ispirate a villanelle e canzoni popolari del ‘600 napoletano; Scene: Luigi Ferrigno; Costumi: Ilaria Carannante; Disegno luci: Luigi Della Monica; Assistente alla regia: Roberto Fiorentino.

La settimana si conclude con la prima versione italiana di “Abrahams Barn | Figli di Abramo – Un patriarca, due figli, tre fedi e un attore”, Teatri Molisani produzioni, sabato 28 ottobre e domenica 29 ottobre. Svein Tindberg firma la drammaturgia, tradotta e diretta da Gianluca Iumiento. Lo spettacolo è adattato da Stefano Sabelli che si esibisce sul palco del TBM con questo monologo che mette in scena il diario di Viaggio di un attore, che da Gerusalemme si mette alla Ricerca dell’Abramo perduto. La storia dell’uomo che da 4 millenni è riferimento di fede per miliardi di persone sulla Terra, è narrata in modo colto ma pure con grande ironia e divertimento. Sono così, rievocati mito e leggenda del primo profeta monoteista dell’Umanità. Un vero innovatore che a Ur dei Caldei, dov’era nato, in Mesopotamia, rifiutò l’idolatria dei suoi tempi, per credere in un solo e unico Dio creatore. Da ribelle ai facili idoli, Abramo, divenne, per questo, il primo esule braccato dell’Umanità e il suo perenne peregrinare – dalla Mesopotamia all’Egitto; dalla Cisgiordania alla Penisola arabica; dal Mar Rosso al Mediterraneo – fu teso alla ricerca e all’approdo della Terra promessa. “Figli d’Abramo”, indaga l’origine delle tre grandi fedi monoteiste, entrando nel merito della loro comune discendenza abramitica. Racconta però anche la storia di conflitti perenni e incomprensibili fra popoli, perpetrati in nome dello stesso Abramo, dei suoi figli – Ismaele e Isacco – e poi dei figli dei suoi figli. Popoli che, dalla lettura comparata e spesso sorprendente dei testi sacri, Torah, Vangelo, Corano, dovrebbero considerarsi fratelli gemelli. In Europa, come in Medio Oriente, o ovunque i Figli d’Abramo oggi vivano, più che raccontare i danni procurati da integralismi e conflitti di religione bisognerebbe cercare di narrare la storia di una florida interazione culturale, intellettuale e spirituale. Luoghi dove le tre grandi fedi, vivendo vicine, l’una accanto all’altra, si sono reciprocamente arricchite di valori comuni e universali che hanno segnato molto del cammino dell’Umanità. Temi che questo spettacolo affronta fin dalle prime battute, affascinando con una affabulazione fatta di mille storie e mille miti, connessi con Abramo, che s’intrecciano fra loro, generando nuove storie e nuove tradizioni. Miti e Riti che ci sembra, forse, di aver dimenticato ma che sono fondamento e DNA delle nostre civiltà, delle nostre comunità, delle nostre complessità. Musiche dal vivo: Giuseppe Moffa; Proiezioni e immagini: Keziat.

Comunicato Stampa: Maresa Palmacci


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