Ornella Vanoni e Mahmood
Ornella Vanoni e Mahmood Artwork: Francesco Vezzoli

Ornella Vanoni e Mahmood insieme su Vanity Fair


Ornella VanoniMahmood e Francesco Vezzoli si raccontano nel nuovo numero di Vanity Fair in una coinvolgente conversazione con il direttore Simone Marchetti

Le immagini, con protagonisti i due cantanti reduci dal successo di Sant’allegria – canzone del 1997 ritornata in cima alle classifiche l’estate scorsa grazie al remix di Jack Sani -,  sono artwork realizzati da Vezzoli, che a loro dice: «In voi due abbiamo percepito il sentimento di cui tutti abbiamo bisogno: un sentimento liberato dalla sessualità e dal potere; un amore di chi riconosce una parte di sé nell’altro e viceversa. Mahmood è il portatore della malinconia e della dolcezza di Ornella. Proprio per questo c’è stato un riconoscimento emotivo tra i due. E per questo, ascoltandoli, mi sono ritrovato a desiderare almeno un pezzetto di quel sentimento». Il risultato è un’intervista corale che ha molto da dire sui fatti e sulle notizie che stanno attraversando le nostre vite.

Sulla loro collaborazione: 

Mahmood: «Con Ornella ci siamo visti in precedenza e ovviamente abbiamo provato il pezzo molte volte. Ma dal vivo sul palco del Forum di Milano ho riconosciuto dei miei tratti in lei. Eravamo come in una sfera tutta nostra. Mi sono profondamente emozionato, cosa che non capita spesso. Certo, l’adrenalina c’è sempre. Ma quel tipo di emozione è una cosa rara».

Ornella Vanoni: «Anch’io mi sono commossa. Guardavo te, Mahmood, e non pensavo al pubblico. Nei tuoi occhi c’erano malinconia, tenerezza, fragilità. Tante, tante cose che conosco benissimo».

Su Sanremo: 

M.: «Ho fatto un pranzo, un giorno, con Carlo Conti. C’erano con me il mio manager e mia madre. A un certo punto Carlo mi chiede se mi piacerebbe condurlo con lui. La mia prima reazione è stata: non sono in grado, perché non l’ho mai fatto prima. E lui: devi solo essere te stesso, devi essere spontaneo. Ecco, diciamo che essere spontaneo è una cosa che mi riesce bene». 

Sulla censura delle canzoni con contenuti misogini e sessisti:

O.V.: «Una volta Luciana Littizzetto ha raccontato la storia di Biancaneve spiegando di non usare la parola sette nani ma sette uomini piccoli. Io penso che abbiamo il compito di provare a non offendere o a cercare le parole che non offendono più. Sono una rappresentante di una casa che offre rifugio a donne vittime di violenza, sentire in una canzone “Troia, ti vengo in bocca” non penso aiuti molto». 

M.: «Però, non pensi che il compito dell’educazione sia della scuola, dello Stato, delle famiglie? Gli artisti, invece, hanno il dovere di rappresentare il vero, la loro esperienza, il loro vissuto. Non si può censurare il racconto del vero». 

Sui primi amori: 

O.V.: «Avevo quindici anni. Santa Margherita, Liguria. Dietro una persiana, davanti al mare, un ragazzo dell’Est, alto, mi dà un bacio, il mio primo bacio. L’ho rivisto dopo un po’ di anni e mi sono detta: ammazza che bello, vedi che ci avevo visto lungo!».

M.: «Io mi innamoro tutti i giorni, anche in metro guardando semplicemente i volti delle persone. Però a otto anni, in Egitto, ero con mio papà che mi portò a fare benzina. Mi ricordo due occhi azzurri. Non la faccia ma due occhi azzurri in un benzinaio al Cairo».

Sulla spiritualità e la vita dopo la morte:

O.V.: «Sempre Strehler mi spiegava: “La vedi questa lampadina? Questa lampadina un bel giorno si spegnerà. Ma si spegnerà la lampadina, non l’energia che stava dentro la lampadina. L’energia ridarà luce a un’altra lampadina oppure no”».

M.: «Che bella questa immagine, mi piacerebbe pensarla così. Ma adesso sono così attaccato alla vita da sforzarmi a non pensare a cosa ci sarà dopo». 

L’intervista completa è disponibile sul numero di Vanity Fair in edicola dal 29 gennaio e sul sito vanityfair.it

Giornalista: Simone Marchetti

Artwork: Francesco Vezzoli

Comunicato Stampa: Marta Romanati


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