Mimmo Locasciulli

Trent’anni di storie e controstorie del cantautore-chirurgo – Intervista a Mimmo Locasciulli


Mimmo Locasciulli festeggia trent’anni di carriera con il recital “Radio days. Trent’anni di storie e controstorie”. Quattro serate, dal 30 marzo al 2 aprile, in cui il cantautore si esibirà sul palco del Teatro Golden di Roma. Uno spettacolo speciale, con tanta musica, tanti amici e, come dice Mimmo, “tanto sentimento”.

Mimmo, ci racconta com’è nato questo spettacolo?
Avevo voglia di fare un piccolo riassunto della mia carriera a trent’anni dal mio primo vero successo pubblicato. In realtà il primo disco l’ho inciso nel 1975 con il Folkstudio. Nello spettacolo ci sarà tanto sentimento e tantissimi ospiti: Giovanna Marini, N’Duccio, Ambrogio Sparagna, Nicki Nicolai e Stefano Di Battista, Alex Britti, Frankie Hi-Nrg MC e Simone Cristicchi. E poi saranno proiettati diversi contributi cinematografici. Io sono cresciuto con il cinema e ho assorbito tantissimo da quel mondo. Per questo proporrò una serie di spezzoni di film che ancora oggi mi rappresentano.

Tra i suoi amici storici mancheranno Francesco De Gregori e Alessandro Haber. Come mai?
C’erano diverse strade che avrei potuto percorrere per realizzare questo progetto. Avrei potuto chiamare solo gli amici, per esempio. Invece ho cercato di dare un’altra impronta allo spettacolo. Ho pensato a quattro serate diverse tra loro, in cui non proporrò solo miei pezzi ma anche i brani che ho ascoltato in radio in passato e che vorrei risentire ancora oggi. Ogni sera ci concentreremo su un genere musicale diverso. Il 30 marzo, con Giovanna Marini e N’Duccio, suoneremo musica popolare. Il giorno dopo, con Stefano Di Battista, “parleremo” di jazz. Di volta in volta cambieranno anche le formazioni. Una sera suonerò in trio, un’altra in quartetto, una in quintetto. Ogni sera un concerto diverso.

Qual è la canzone, tra quelle che ha scritto, che la rappresenta di più in questo momento?
Tutte le canzoni sono come figli. Quindi non posso non volergli bene. Cambia solo il grado di emozione quando le suono. Qualche volta, per esempio, ancora mi commuovo a cantare “Gli occhi” o anche “La disciplina dell’amore”, poi dipende anche da quello che ti dà il pubblico in quel momento.

Quale canzone invece sente che non le appartenga più?
Per un cantautore una canzone è la testimonianza di un momento della vita. È chiaro che alcuni brani del periodo del Folkstudio mi appaiono oggi molto ingenui. Però rappresentano splendidamente quello che ero io a quei tempi.

Sono trentasei anni che lei si divide tra l’attività di medico e quella di cantautore. Come ha fatto a gestire due mondi così distanti e impegnativi?
La medicina è il mio lavoro. E io credo molto nel lavoro. Serve per dare equilibrio alla mia vita. Alzarsi regolarmente la mattina, avere degli impegni programmati è molto importante per me. La musica è stata una passione fin da bambino. Fortunatamente non sono mai riuscito a farne a meno. Non ho mai tentato di fare il cantante di successo, mi sono sempre mantenuto come ospite esterno del mondo musicale, con il mio zoccolo duro di pubblico. Questo atteggiamento da dilettante, insieme al mio lavoro di medico, mi ha permesso di non soccombere alle necessità e agli errori della discografia.

Le è mai capitato che qualche paziente la riconoscesse?
Purtroppo mi capita molto spesso. A volte è difficile far fronte a questa situazione. Le persone educate non danno fastidio. Alcuni invece si permettono di prendere troppa confidenza anche in momenti abbastanza delicati, con atteggiamenti inopportuni, tipo pacche sulle spalle o richieste di canzoni, che dentro un ospedale sono intollerabili, se non altro per rispetto nei confronti delle persone ricoverate. In questi anni ho tracciato un confine abbastanza netto tra il mio lavoro di medico e la mia carriera di musicista. Non ho mai firmato un autografo dentro l’ospedale.

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