Michela Cortese
Michela Cortese

Intervista alla giornalista Michela Cortese


Michela Cortese è una ragazza molto brillante che ha studiato negli anni giovanili tra Terracina e Latina. Si è formata in parte in Italia e successivamente ha deciso di trasferirsi in Galles dove si sta specializzando nell’ambito del giornalismo e della comunicazione. A lei abbiamo posto alcune domande sulla sua attività che l’ha condotta a vivere questa singolare esperienza di vita e di formazione professionale.

Dr.ssa Michela, per quale motivo hai deciso di lasciare l’Italia e trasferirti in Gran Bretagna?
“La mia storia è un po’ diversa da quella di tutti quei ragazzi che negli ultimi anni sono emigrati all’estero, in particolare a Londra, in cerca di un lavoro a causa della crisi in Italia.
Mi sono diplomata presso il liceo scientifico (indirizzo linguistico) Ettore Majorana di Latina nel 2006 e nel 2010, dopo aver lavorato per alcuni anni nel turismo, ho capito che era ora di continuare il mio percorso di studi ma l’idea di studiare a Roma, o in Italia in generale, mi ha sempre pietrificata.
Non sono mai stata una fan del sistema universitario Italiano, lo trovo davvero poco ‘ordinato’ e non adatto a lanciare i ragazzi nel mondo del lavoro.
Ma, lasciando stare le mie opinioni sul sistema universitario italiano, sono sempre stata un’appassionata della lingua inglese e sarebbe stata una grande soddisfazione riuscire ad accedere ad un coso di studi lì.
Oltretutto, era mio desiderio conseguire una laurea in giornalismo e si sa che il giornalismo, o meglio ‘l’informazione’,in Gran Bretagna ha una tradizione diversa da quella italiana, una tradizione che include meno corruzione ed un miglior servizio per il cittadino.
Nonostante ciò la mia passione per il giornalismo, specialmente per i documentari, nasce da vari progetti svolti al liceo che mi hanno proiettata verso questo tipo di carriera.
Tra le varie opzioni, ho deciso di iscrivermi alla Bangor University, nel Nord del Galles, che vanta una grande reputazione per i ‘joint honoursdegree’, una specie di doppia laurea in cui è permesso di frequentare due facoltà durante la triennale.
Così in tre anni mi sono laureata in giornalismo e psicologia del linguaggio. Sono stati davvero i tre anni più belli della mia vita poiché il sistema inglese ti permette di godere delle attività universitarie con serenità, combinando varie materie, anche se si lavora non stop con scadenze molto rigide.
Diversamente dal sistema italiano, non ci sono possibilità di ridare gli esami stabiliti (più o meno se ne fa uno ogni tre settimane), c’è una sola possibilità in un unico giorno, e non si ha la facoltà di rifiutare il voto. “Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”.
Ma allo stesso tempo ti vengono dati tutti gli strumenti per lavorare con costanza ed efficacia in modo che la triennale sia affettivamente tre anni di studio e non il doppio!
C’è da dire che anche la quantità di attività extra curriculari è eccezionale. Durante i tre anni sono stati pubblicati alcuni dei miei articoli su giornali locali e ho preso parte alla realizzazione di un film che ha vinto un premio nazionale come migliorshort film in lingue gallese, sempre in ambito universitario.
Nel mio stesso corso in ‘creative studies and media’ a Bangor si laureò il regista Danny Boyle, premio Oscar per ‘The Millionaire’, nomination per migliore sceneggiature non originale in ‘127 ore’ con James Franco e anche molto conosciuto per la regia di film cult come Trainspotting e The Beach con Leonardo DiCaprio.
Un altro concetto che non condivido dell’università italiana è il fatto di tenere i ragazzi occupati 365 giorni l’anno per le attività accademiche. In Gran Bretagna i corsi iniziano alla fine di settembre e si conclude tutto, esami e lezioni, entro la fine di Maggio.
Questo vuol dire che i ragazzi hanno tempo da Giugno a Settembre per fare esperienze di lavoro.
Quante volte ho ascoltato lamentele di chi diceva che i ragazzi in Italia non lavorano mentre fanno l’università (a parte chi ne ha assoluto bisogno per sostenersi agli studi), e mi sono sempre chiesta: come si fa a pretendere l’esperienza lavorativa da un ragazzo che deve studiare in certe condizioni?
Anche il fatto che i ragazzi italiani rimangano più degli anni preposti nel corso di laurea, come si fa ad incolparli? Il sistema dovrebbe essere decisamente rivalutato.”

Quali sono state le tue esperienze in ambito lavorativo in UK?
“Ho fatto varie esperienze di lavoro ma quella che mi piace sottolineare è il lavoro che ho avuto per le olimpiadi ‘London 2012’.
Tutti hanno detto che c’erano sono lavori per i volontari, lavori non retribuiti, ma non era così. Bastava cercare un po’ meglio.
Ho trovato una compagnia che si occupava dei vari sponsors per le olimpiadi, ho fatto una domanda di ammissione, inviato il cv, mi hanno chiamata, ho fatto i vari tests e mi hanno presa. Era una lavoro molto ben pagato.
Insomma, ho fatto un percorso decisamente lineare per essere assunta, giusto?
E invece, indovinate un po’… quando sono tornata in Italia e l’ho raccontato agli ‘amici’ la prima domanda che mi hanno fatto in molti è stata: ‘ma chi conoscevi all’interno di quella compagnia?’. Come per dire, ma chi ti ha raccomandata?
Ovviamente non conoscevo nessuno. Ho fatto una semplice domanda d’assunzione. Il problema in Italia è sempre il solito: devi conoscere qualcuno altrimenti nessuno si spiega come hai fatto ad avere un posto di lavoro!
Questa storia deve assolutamente cambiare. La meritocrazia esiste. Non è utopia. Tuttavia in Italia il sistema lavorativo è talmente corrotto che ormai i ragazzi fanno fatica a credere che si riesca ad avere un lavoro senza avere gli ‘agganci’ giusti.
Per non parlare di quello che accade mentre una persona cerca lavoro. In Gran Bretagna, come in altre nazioni europee, ci sono dei siti internet ben organizzati, chiari e semplici da usare per cercare offerte di lavoro e inviare le domande.
In Italia, il metodo più usato è ancora quello di andare porta a porta a consegnare il curriculum con la speranza che qualcuno ti richiami.
Si, certamente ci sono casi in cui si può trovare un lavoro tramite i siti e i ragazzi vengono assunti per merito, ma chiunque stia leggendo questo articolo sa di cosa sto parlando.
Poi in modo molto umile io vi sto raccontando tutto questo seguendo quello che succede almeno dal Lazio in giù. Che su al nord ci sia più speranza? Questo non so dirlo con precisione.”

Adesso come è la tua vita in UK? Hai trovato lavoro alla fine dell’università?
“Ho trovato vari lavori alla fine dell’università ma l’ultimo l’ho rifiutato poiché mi sto impegnando duramente in una ricerca che dovrebbe farmi accedere al dottorato in Galles.
Fare la domanda per il dottorato è un percorso abbastanza lungo e richiede una grande ricerca ancor prima di iniziarlo, ma se fai tutto con attenzione e dedizione riesci ad avere un posto anche senza aver fatto la specialistica.
Inoltre, tutto dipende molto da come hai lavorato nella triennale ed i voti che hai ottenuto durante gli ultimi due anni di studio.
Si, è un percorso diverso da quello Italiano, ma anche qui tutto dipende dall’impegno di una persona. Se lavori sodo in Gran Bretagna andrai sicuramente avanti.
E’ per questo che sto pianificando la mia vita qui. In Gran Bretagna non si troverà l’oro e non si diventerà ricchi ma si può vivere con serenità e dignità dato il funzionamento delle istituzioni e una burocrazia che non ti soffoca.
Stare in Italia è diventata solo una lotta e poi… una lotta contro chi? Ormai è una lotta contro noi stessi. C’è una profonda crisi nel paese e ci tengo a dire che ormai questa crisi non è più ne monetaria e ne politica: è diventata una crisi individuale, radicata dentro ogni cittadino. La speranza è l’ultima a morire ma sembra stia morendo anche quella nel Paese.
Vediamo cosa succederà con il nuovo governo. Io continuerò a svolgere le mie attività principali in Gran Bretagna ma ormai per me non è una questione di scappare all’estero, è più che altro una passione ed un’abitudine di vivere in un luogo dove tutto funziona.
I miei nonni erano emigrati in UK negli anni 70’ (poi sono rientrati in Italia dopo dieci anni per motivi legali alla famiglia) e dunque non mi vergogno di aver lasciato il mio paese in cerca di nuove opportunità.
Molti mi dicono che tutti quelli che si sono trasferiti all’estero sono persone che non hanno voglia di lottare.
Io non la vedo assolutamente così. Siamo comunque dei lottatori. Lottiamo per realizzare i nostri sogni e garantire un percorso più sereno alla nostra futura famiglia, sempre con la speranza che un giorno riusciremo ad averne una.”

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