Silvio Orlando
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Silvio Orlando: Quello italiano pensato per l’insuccesso


Dal 15 marzo al Teatro Eliseo di Roma Silvio Orlando interpreta Michele Cozzolino in ‘Se non ci sono altre domande’. Prima opera teatrale di Paolo Virzì, racconta la storia di un uomo qualunque che improvvisamente si ritrova protagonista di un talk show televisivo sulla sua vita, davanti ad una platea che gli chiede conto di pensieri, azioni, segreti, amori, errori e meschinità. “È un’opera che nasce da un malessere, quello del mondo teatrale e dello spettacolo, che chi governa – spiega Orlando a ‘L’Espresso’ – non ha saputo intercettare, creando una breccia per entrare in un ambiente che sente ostile”.

Per l’attore “il teatro italiano è pensato per l’insuccesso, mentre dovrebbe tenere aperte le finestre a qualcosa di più nuovo, aggressivo e creativo”. “Vive in una sorta di protezionismo che è depressivo per le proposte. Si regge sulle tournée e su una rete di protezione di abbonati, così tra uno spettacolo di gran successo e uno scarso c’è poca differenza: stessi teatri, piazze, facce, incassi. Tutto ciò è avvilente per chi fa questo mestiere in modo intellettualmente corretto, cioè per un pubblico – prosegue – almeno consapevole di cosa vede. Si perde l’illusione di essere scelti. Come quei cantanti da matrimoni napoletani che a ogni portata devono intonare un pezzo di sottofondo, sognando il giorno in cui il pubblico vorrà solo loro e non i gamberoni”.

“Se il governo avesse creato strumenti per attivare situazioni più dinamiche e vitali, come questa, sarebbe riuscito per la prima volta nella storia della destra italiana ad avere un ascolto, invece di andare avanti a colpi di tagli punitivi – continua Orlando – vendette tribali su una categoria dalla quale non si sente stimato e appoggiato”. Sostiene che “il rapporto con la politica dovrebbe essere ribaltato”. “Nel mondo dello spettacolo si sviluppano le idee e si crea il consenso. Dovrebbero essere i politici a inseguire gli artisti e non viceversa. Bruttissimo segno quando siamo noi a dover andare col cappello in mano”.

Ma “più che l’arroganza di chi ci governa”, Orlando è dispiaciuto per “l’incapacità di ideare forme di lotta più efficaci”. “Tutto finisce nel momento in cui ognuno di noi va poi a contrattazione individuale col potente di turno. Ci solleviamo solo per la paura di scomparire. Non abbiamo saputo farci rispettare fino in fondo”.

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