Gli Slivovitz nascono a Napoli nel 2001, la loro musica è da sempre caratterizzata dalla grande varietà di stili e di riferimenti geografici tra i più disparati.
Dal jazz al rock, dall’America ai Balcani passando per il Mediterraneo, hanno pubblicato tre dischi dal sound progressivamente sempre più riconoscibile. Il primo, omonimo pubblicato nel 2006 dall’etichetta milanese Ethnoworld, ed altri due, “Hubris” e “Bani Ahead”, pubblicati rispettivamente nel 2009 e nel 2011 dalla Newyorkese Moonjune Records, prestigiosa etichetta del panorama avant jazz e progressive.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare gli indiscussi maestri Napoletani del progressive gypsy electro eclectic jazz che ci hanno parlato del nuovo album ‘All You Can Eat’.
Benvenuti sulle pagine di Radio Web Italia! Iniziamo un po’ dal principio: come ha avuto inizio il progetto Slivovitz?
Il progetto ha avuto inizio nel 2001, per strada, tra amici, per “gioco”, poi in sala e dopo pochi mesi nei locali. Bene o male dopo 14 anni di crescita insieme, dopo 4 dischi e tanti concerti, un certo spirito delle origini è ancora molto presente.
Quali artisti hanno influenzato maggiormente il vostro stile?
Tanti, tantissimi e molto diversi tra loro, al punto che non si può probabilmente elencarli tutti. Abbiamo passato molto tempo insieme ad ascoltare musica, nottate e viaggi in furgone interi. Semplicemente cerchiamo di non farci mancare niente: geograficamente e artisticamente.
Quanto conta la sperimentazione nella vostra musica?
C’è stato un periodo particolare in cui abbiamo fatto due, tre serate senza scaletta, improvvisando tutto e lasciando che i pezzi già facenti parte del repertorio venissero fuori spontaneamente durante lo spettacolo. Ora è tutto più organizzato, ma continuiamo a sperimentare tipi diversi di orchestrazione e di strutture. In ogni disco c’è qualcosa di nuovo rispetto al precedente.
Adesso eccoci qui con il vostro nuovo disco All You Can Eat, uscito il 17 novembre 2015. Cosa è cambiato rispetto a Bani Ahead?
“All You Can Eat” è un disco più pulito, dal punto di vista della produzione: gli strumenti “solisti” sono stati sovraincisi quasi sempre, per avere un suono più definito, e le ritmiche hanno un sapore più rock, più compatto anche dal punto di vista del missaggio. “Bani Ahead” invece era stato registrato interamente dal vivo, ma molte idee compositive sono comuni ad “All You Can Eat”, ovviamente maturate, assimilate ed evolute col nostro modo di suonare: “Yahtzee”, per esempio, espande il lavoro di composizione ed armonizzazione già presente in “Opus Focus”, uno dei pezzi più visionari di “Bani Ahead”. Inoltre in pezzi come “Barotruama” e “Oblio” c’è uno sguardo rivolto al futuro dove ci siamo confrontati con una scrittura per noi inedita.
Parlando sempre del disco: da quale idea nasce la copertina di All You Can Eat?
Abbiamo avuto l’idea di chiamarlo All You Can Eat mentre eravamo a cena insieme in un ristorante giapponese, abbiamo comunicato ad Alessandro Rak la nostra idea e ci siamo fidati di lui. Rak è un artista grandissimo con il quale avevamo già collaborato in passato per la copertina di Hubris, ci fidiamo ciecamente del suo istinto.
A quale album potete dire di essere più affezionati?
A tutti! È come chiedere ad un genitore quale figlio preferisce.
Parlando di concerti. Che atmosfera si respira durante i vostri live?
Credo che la dimensione del concerto renda molto meglio la nostra idea di musica rispetto ai dischi: l’energia di sette strumenti, con ampi spazi di improvvisazione, ovviamente in un disco viene ridimensionata. Dal vivo cerchiamo sempre di mescolare le carte, di portare la musica in territori inaspettati, e ci lasciamo travolgere dall’entusiasmo del pubblico, come fosse sempre il nostro primo concerto, o l’ultimo.
Quando potremo ascoltare dal vivo le canzoni del nuovo disco?
I prossimi live saranno il
25 Dicembre -Kingstone – Caserta
26 Dicembre – Moses – Napoli
16 Gennaio – Sound Music Club – Frattamaggiore
29 Gennaio – Le Mura – Roma
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